Il concetto di inclusione ha radici profonde sia nella filosofia che nel diritto, e nel tempo ha acquisito significati complessi e stratificati, specialmente in contesti sociali, educativi e culturali.

Filosofia

Dal punto di vista filosofico, rappresenta l’idea che tutte le persone, indipendentemente dalle loro caratteristiche individuali (come etnia, religione, orientamento sessuale, abilità fisiche e mentali, e condizioni socioeconomiche), meritino di far parte della comunità e di avere uguali opportunità di partecipazione. Questa idea è associata a una visione morale e antropologica dell’umanità, che promuove la dignità e il rispetto per ogni persona.

Il concetto si radica nel pensiero di filosofi che hanno trattato il tema dell’uguaglianza e della giustizia sociale, come John Rawls e Jürgen Habermas. Per Rawls, l’inclusione sociale è fondamentale per garantire una società giusta: la sua teoria della “giustizia come equità” si basa sull’idea che ogni persona dovrebbe avere il diritto di partecipare alla società su basi uguali. Habermas, invece, parla di “agire comunicativo” e della necessità di uno spazio pubblico dove tutti possano avere una voce, un’idea che abbraccia l’inclusione come presupposto per una società democratica.

In termini giuridici in Italia

In Italia, l’inclusione è un principio riconosciuto in diversi ambiti del diritto, specialmente in campo sociale e educativo.

Costituzione Italiana: La Costituzione stessa promuove valori di uguaglianza e di pari opportunità. L’articolo 3 sancisce l’uguaglianza formale e sostanziale dei cittadini e afferma il compito della Repubblica di “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale” che limitano la libertà e l’uguaglianza. Questo è un fondamento giuridico per politiche di inclusione, mirate a garantire pari opportunità e accesso alla vita sociale e pubblica.

Legislazione sull’inclusione scolastica: L’Italia è stata pioniera in Europa per l’inclusione scolastica degli studenti con disabilità. La Legge n. 104 del 1992 è una normativa chiave che garantisce il diritto delle persone con disabilità all’inclusione scolastica e sociale. Questa legge riconosce il diritto a una vita indipendente e dignitosa, prevedendo strumenti e supporti specifici per facilitare l’inclusione e la partecipazione attiva nella società.

Leggi sul lavoro e diritti delle persone con disabilità: Anche in ambito lavorativo ci sono leggi mirate a favorire l’inclusione. La Legge n. 68 del 1999 prevede il “collocamento mirato” delle persone con disabilità nel mondo del lavoro, con l’obiettivo di promuovere un ambiente inclusivo e accessibile a tutti.

Leggi anti-discriminazione: Le norme italiane recepiscono direttive europee che vietano la discriminazione basata su etnia, genere, orientamento sessuale, religione, età e disabilità. Il Decreto Legislativo n. 216 del 2003, ad esempio, recepisce una direttiva europea contro le discriminazioni nei luoghi di lavoro, promuovendo così l’inclusione e le pari opportunità.

Integrazione e inclusione degli stranieri: L’Italia ha anche adottato politiche e normative mirate a favorire l’inclusione (anche se attualmente si parla ancora di integrazione) degli immigrati e delle minoranze etniche, anche se la gestione di queste politiche è spesso oggetto di dibattito. Ad esempio, il Testo Unico sull’immigrazione (D.Lgs. 286/1998) prevede misure per l’integrazione sociale degli immigrati, compreso l’accesso ai servizi sanitari e all’istruzione.

La parola inclusione nella quotidianità

La parola inclusione, nonostante il suo significato positivo e il suo intento di promuovere uguaglianza e accettazione, ha acquisito connotazioni negative tra alcuni segmenti della popolazione, persone con visioni più critiche o conservative. Ci sono diversi motivi, o per meglio dire ipotesi, per cui questo è accaduto, legati a fattori sociali, politici e culturali.

  1. Reazioni ai Cambiamenti Sociali Rapidi

Negli ultimi decenni, la società ha subito trasformazioni significative in termini di diritti civili, uguaglianza di genere, multiculturalismo, e riconoscimento delle diversità. Spesso questi cambiamenti sono avvenuti troppo rapidamente, creando un senso di perdita di identità o di valori tradizionali (sempre tenendo presente la soggettività e la personalità di ogni singolo individuo). In questo contesto, l’idea di “inclusione” viene percepita come una minaccia, qualcosa che forza cambiamenti a norme e valori consolidati, destabilizzando ciò che queste persone vedono come il “tessuto sociale” a cui sono abituate.

  1. Strumentalizzazione Politica

Molti movimenti politici hanno spesso utilizzato il termine “inclusione” come bersaglio, presentandolo come parte di un’agenda “politicamente corretta” imposta dall’alto, che limita la libertà d’espressione o che mette i bisogni di minoranze (immigrati, persone LGBTQ+, ecc.) davanti a quelli della maggioranza. Questa retorica sfrutta paure e ansie della popolazione, dipingendo l’inclusione come un tentativo di privilegiare alcuni gruppi a scapito di altri. Ad esempio, si è visto spesso il tema dell’inclusione collegato a critiche su politiche di immigrazione o sull’uso di linguaggi “neutri” o “inclusivi”.

Ma anche altre forze politiche promotrici di ideali d’inclusione spesso hanno dimenticato di spiegare questo concetto a coloro che ne avevano paura, lo hanno imposto come qualcosa che veniva dall’alto piuttosto che come una evoluzione naturale della società. Così accrescendo il senso di repulsione verso determinate persone. Non si può pretendere di parlare ed essere compresi da tutti.

  1. Percezione di Ingiustizia o Disuguaglianza al Contrario

Alcuni percepiscono l’inclusione come una forma di “disuguaglianza al contrario”, dove le persone tradizionalmente svantaggiate sembrano avere vantaggi che penalizzano chi appartiene ai gruppi dominanti. Questo si verifica, per esempio, nel dibattito sulle “quote” di genere o etniche, nelle politiche di assunzione, o nei programmi educativi che promuovono la diversità. Per chi si sente escluso da queste nuove opportunità, l’inclusione può sembrare un modo ingiusto di ridistribuire le risorse.

  1. Confusione con il “Politicamente Corretto”

Il termine inclusione è spesso associato, e talvolta confuso, con il concetto di “politicamente corretto”. Questo ha portato alcune persone a vedere l’inclusione come una forma di censura, in cui non è più possibile esprimere opinioni tradizionali o critiche senza essere giudicati. I media e i social network hanno contribuito a diffondere questa associazione, evidenziando casi in cui la promozione dell’inclusione sembrava portare a estremismi o a limitazioni della libertà di parola.

  1. Percezione di Perdita di Identità Culturale

In un contesto globalizzato, l’inclusione è vista da alcuni come un modo per eliminare le differenze culturali nazionali in nome di un multiculturalismo che appiattisce le identità. Questo è particolarmente sentito in Paesi con una forte tradizione culturale o nazionale, dove si teme che l’inclusione comprometta valori e costumi locali. Ad esempio, l’inclusione di culture diverse nelle scuole o nei programmi pubblici è talvolta percepita come una minaccia alla cultura dominante.

  1. Senso di Esclusione

Paradossalmente, l’idea di inclusione può far sentire alcuni gruppi esclusi. Se le politiche di inclusione vengono percepite come eccessivamente focalizzate su specifici gruppi di minoranza, le persone che non appartengono a quei gruppi possono sentirsi messe da parte, soprattutto se stanno vivendo situazioni economiche difficili o se si sentono abbandonate dalle istituzioni. Questo crea un senso di frustrazione, che può essere sfruttato da movimenti populisti per dipingere l’inclusione come un concetto elitario che non tiene conto dei problemi della “gente comune”.

  1. Mancanza di Chiarezza e Comunicazione Inefficace

Spesso il concetto di inclusione non è ben spiegato o viene mal comunicato. Quando le persone non comprendono appieno le finalità di politiche inclusive, sono più inclini a interpretarle negativamente, specialmente se ricevono informazioni distorte o semplificate dai media.

Se le politiche inclusive non sono ben progettate o sembrano privilegiare alcuni gruppi in modo evidente, alimentano ulteriormente l’idea che l’inclusione sia una forma di favoritismo.

Il significato negativo che la parola “inclusione” ha assunto in alcuni contesti è il risultato di un mix di fattori: rapide trasformazioni sociali, strumentalizzazione politica, senso di ingiustizia percepita, e una comunicazione a volte inefficace. Per superare questa polarizzazione, è importante che il concetto di inclusione venga spiegato e implementato in modo chiaro, sottolineando che una società inclusiva beneficia tutti, non solo alcuni gruppi specifici.

 

  • Rawls, John. A Theory of Justice. Harvard University Press, 1971.
  • Habermas, Jürgen. The Theory of Communicative Action. Beacon Press, 1984.
  • Costituzione della Repubblica Italiana, art. 3.
  • Legge 5 febbraio 1992, n. 104. “Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione sociale e i diritti delle persone handicappate”.
  • Legge 12 marzo 1999, n. 68. “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”.
  • Decreto Legislativo 9 luglio 2003, n. 216. “Attuazione della direttiva 2000/78/CE per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro”.

 

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