Trattamento di Fine Rapporto e Divorzio

Quando l’amore finisce, ma la solidarietà resta e il TFR Arriva

Il TFR è un argomento molto delicato nei divorzi, ma spesso insieme al Trattamento di Fine Rapporto vi sono altre indennità che finiscono nel mirino di pretese, legittime e non. Il divorzio non chiude tutto. Chi pensa che con la fine del matrimonio si spezzi ogni legame patrimoniale tra ex coniugi, ignora un principio fondamentale del diritto di famiglia: la solidarietà economica sopravvive anche dopo l’amore. Ed è proprio su questo principio che si innesta la sentenza n. 6229/2024 delle Sezioni Unite civili della Corte di Cassazione. Una decisione importante, che risolve un contrasto giurisprudenziale e fissa con chiarezza cosa debba rientrare – e cosa no – nella cosiddetta “quota dell’indennità di fine rapporto” spettante all’ex coniuge beneficiario dell’assegno divorzile.

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In particolare, la Corte stabilisce che l’incentivo all’esodo – quell’importo che un datore di lavoro riconosce per convincere un dipendente ad accettare un’uscita anticipata – non va condiviso con l’ex coniuge, perché non è una vera indennità di fine rapporto ai sensi dell’art. 12-bis della legge sul divorzio.

Il principio di diritto:

«La quota dell’indennità di fine rapporto spettante, ai sensi dell’art. 12-bis della l. n. 898 del 1970, introdotto dall’art. 16 l. n. 74 del 1987, al coniuge titolare dell’assegno divorzile e non passato a nuove nozze, concerne non tutte le erogazioni corrisposte in occasione della cessazione del rapporto di lavoro, ma le sole indennità, comunque denominate, che, maturando in quel momento, sono determinate in proporzione della durata del rapporto medesimo e dell’entità della retribuzione corrisposta al lavoratore; tra esse non è pertanto ricompresa l’indennità di incentivo all’esodo con cui è regolata la risoluzione anticipata del rapporto di lavoro».

Cosa dice la legge: l’articolo 12-bis e il principio di solidarietà post-coniugale

Partiamo dalle basi. L’art. 12-bis della legge n. 898/1970, stabilisce che, in caso di divorzio, il coniuge che riceve l’assegno divorzile ha diritto anche a una quota del TFR (trattamento di fine rapporto) dell’altro coniuge, se maturato durante gli anni di matrimonio.

Più precisamente:

  • L’ex coniuge ha diritto al 40% del TFR maturato durante il matrimonio;
  • Questo diritto sussiste solo se è titolare dell’assegno divorzile e non si è risposato;
  • L’obiettivo è compensare e riequilibrare le condizioni economiche tra ex coniugi, premiando chi ha eventualmente sacrificato la propria carriera per la famiglia.

Un principio, questo, che trova fondamento nella funzione “perequativo-compensativa” dell’assegno divorzile, come stabilito da una celebre sentenza del 2018 (Cass., Sez. Unite, n. 18287).

Il dubbio: il TFR include anche l’incentivo all’esodo?

Per anni la giurisprudenza si è divisa su una questione molto concreta: se un lavoratore riceve un incentivo economico per lasciare anticipatamente il lavoro, questa somma fa parte del TFR da dividere con l’ex coniuge?

Alcune sentenze, come la n. 14171 del 2016, avevano risposto : dopotutto, anche l’incentivo all’esodo è legato al lavoro, viene tassato come reddito da lavoro dipendente ed è spesso determinato sulla base della retribuzione e dell’anzianità. La sentenza valorizzava la circostanza per cui le somme corrisposte a tale titolo non avrebbero natura liberale né eccezionale, costituendo, piuttosto, reddito di lavoro dipendente (e ciò proprio in quanto predeterminate al fine di sollecitare e remunerare, mediante una vera e propria controprestazione, consistente nel consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto).

Ma altre pronunce, come la n. 3294 del 1997, dicevano no: quell’incentivo non è “retribuzione differita”, non è legato in modo automatico alla durata del rapporto, e soprattutto non matura automaticamente, ma è frutto di una trattativa individuale.

Il verdetto delle Sezioni Unite: dentro il TFR solo ciò che matura “in automatico”

Con la sentenza n. 6229/2024, le Sezioni Unite mettono la parola fine alla disputa: l’incentivo all’esodo non è una componente del TFR e non va condiviso con l’ex coniuge.

Il motivo? Lo spiega la Corte con una logica cristallina:

  • Solo le indennità che maturano automaticamente con la cessazione del rapporto di lavoro (come il TFR classico) rientrano nel perimetro dell’art. 12-bis;
  • L’incentivo all’esodo, invece, è frutto di un accordo volontario tra datore e lavoratore;
  • Non è calcolato in base a parametri oggettivi e continuativi (anni di lavoro, stipendio), ma è una “una tantum” negoziata liberamente.

In altre parole: il TFR è un diritto acquisito con ogni giorno di lavoro; l’incentivo all’esodo è una “trattativa privata”. E questo basta, secondo la Corte, per escludere l’obbligo di condivisione.

Facciamo un esempio pratico sul TFR e il Divorzio

Immaginiamo un caso concreto.

Marco e Anna sono stati sposati per 20 anni. Durante il matrimonio, Marco ha lavorato come dirigente d’azienda. Dopo il divorzio, ad Anna viene riconosciuto un assegno divorzile.

Due anni dopo, Marco lascia l’azienda, che gli riconosce:

  • 100.000 euro di TFR maturato durante i 20 anni di lavoro;
  • 50.000 euro di incentivo all’esodo, per accettare un’uscita anticipata.

Secondo l’art. 12-bis, Anna ha diritto al 40% del TFR maturato durante il matrimonio. Quindi, se 80.000 di quei 100.000 euro sono stati maturati mentre erano sposati, Anna avrà diritto a 32.000 euro.

Ma non potrà chiedere nulla dei 50.000 euro di incentivo. Anche se le sembrano parte dello stesso “pacchetto”, non rientrano nel perimetro tracciato dalla legge. E ora, anche dalla Cassazione.

Solidarietà sì, ma con criterio

Il punto centrale, sottolineato dalla Corte, è che la solidarietà post-coniugale non deve trasformarsi in ingiustizia.

L’obiettivo della legge è compensare il sacrificio economico di chi ha rinunciato alla propria carriera per la famiglia. Ma questa compensazione deve basarsi su elementi oggettivi e prevedibili, come il TFR, e non su somme eccezionali e soggettive, come l’incentivo all’esodo.

Se si accogliesse l’idea opposta – quella di includere anche l’incentivo all’esodo – si finirebbe per estendere il principio dell’art. 12-bis oltre i suoi limiti originari, creando una forma di “indennizzo generalizzato” per qualunque erogazione ricevuta dopo il divorzio.

Un equilibrio difficile, ma necessario

La sentenza delle Sezioni Unite, dunque, si inserisce in un percorso giurisprudenziale più ampio, che cerca di tenere insieme:

  • Il principio costituzionale di solidarietà tra coniugi;
  • Il rispetto per le autonomie individuali post-matrimoniali;
  • La chiarezza nei criteri di attribuzione patrimoniale.

Non è un compito facile. Come ricorda la stessa sentenza, il sistema dell’assegno divorzile è oggi sorretto da una logica mista: assistenziale e compensativa.

E’ da aggiungere che la Corte costituzionale, chiamata a pronunciarsi sulla conformità della norma di cui all’art. 12-bis l. n. 898 del 1970 alla Carta fondamentale ― nella parte in cui la prima, nel fissare l’attribuzione dell’indennità in una misura percentuale fissa e rapportata anche al periodo successivo alla cessazione della convivenza, parrebbe generare un’ingiustificata parificazione di situazioni tra loro molto diverse quanto a durata della convivenza e del periodo di separazione ―, ha avuto modo di rilevare che la componente compensativa dell’assegno poggi sulla “considerazione della particolare condizione della donna, che deve assumere su di sé oneri rilevanti in ordine all’assolvimento di compiti di natura domestica e familiare in sostituzione o in aggiunta al lavoro extradomestico, e del pregiudizio che ne consegue rispetto a prospettive di autonomia economica e di affermazione professionale», cogliendosi, in ciò, «il riflesso delle crescenti difficoltà di organizzazione della vita quotidiana e familiare, dei problemi connessi agli oneri del doppio lavoro e della discriminazione di fatto della donna sul terreno professionale” (Corte cost. 24 gennaio 1991, n. 24, in motivazione, par. 4 del considerato in diritto)

Chi riceve l’assegno (e quindi anche la quota di TFR) lo fa non perché è povero, ma perché ha sacrificato opportunità economiche per il bene della famiglia. Questo è ciò che giustifica il mantenimento di un legame patrimoniale dopo la fine dell’amore.

E la giurisprudenza futura?

Con questa sentenza, la Corte offre una guida sicura ai tribunali e alle parti coinvolte nei divorzi: si condivide solo ciò che è retribuzione differita “vera”. Resta escluso tutto ciò che è:

  • Volontario;
  • Negoziale;
  • Non legato a criteri automatici e oggettivi.

Si tratta di un criterio pratico e facilmente applicabile, che potrebbe avere effetti importanti anche in ambiti contigui, come le indennità di fine mandato, i bonus di produttività o le stock option.

La sentenza n. 6229/2024 è molto più di una precisazione tecnica: è un passo avanti verso una giustizia familiare più trasparente, coerente e sostenibile.

Ricorda a tutti, giuristi e non, che il divorzio non è la fine di tutto: i legami economici sopravvivono, ma solo nei limiti della ragionevolezza e della funzione costituzionale della solidarietà.

In un tempo in cui i divorzi sono frequenti e le famiglie si moltiplicano in forme nuove, è fondamentale che il diritto sappia offrire risposte chiare e che la giurisprudenza contribuisca, come in questo caso, a disegnare confini giusti tra ciò che si deve e ciò che non si deve più.

LA SENTENZA

L’Assegno Unico Universale INPS