La Corte Costituzionale e il confine del vivere: il suicidio assistito tra diritto, etica e vulnerabilità
Con il giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale deciso con la sentenza nr. 66/2025 la Corte Costituzionale ha avuto la possibilità di tornare sull’argomento del fine vita. Un argomento che da troppo tempo viene ignorato dai Legislatori che lasciano il lavoro sporco ai Tribunali, che ovviamente hanno dei limiti nei loro poteri. La Corte affrontando la questione del suicidio assistito tra diritto, etica e vulnerabilità ripercorre le tappe giurisprudenziali e dottrinarie con lucidità e riflessione, anche sui rischi che altri paesi stanno già vivendo.
E di nuovo la Corte torna a strigliare anche il legislatore
[…] Va, infine, ribadito con forza l’auspicio, già formulato nell’ordinanza n. 207 del 2018, nella sentenza n. 242 del 2019 e da ultimo nella sentenza n. 135 del 2024, che il legislatore e il Servizio sanitario nazionale intervengano prontamente ad assicurare concreta e puntuale attuazione a quanto stabilito dalla sentenza n. 242 del 2019, ferma restando la possibilità per il legislatore di dettare una diversa disciplina nel rispetto delle esigenze richiamate ancora una volta dalla presente pronuncia. […]
Da parte dello scrivente un accorato invito alla lettura della sentenza
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L’orizzonte del fine vita: una questione di diritti fondamentali
Il fine vita è una delle questioni più complesse e controverse che attraversano il diritto costituzionale contemporaneo. Lo è non solo per la sua incidenza sulla dimensione più intima dell’essere umano — la possibilità di decidere autonomamente come e quando morire — ma anche per il modo in cui questa scelta si rifrange nella coscienza collettiva, nelle istituzioni democratiche e nel bilanciamento tra autodeterminazione individuale e tutela della vita.
Nel cuore di questa tensione si trova l’art. 580 del codice penale, che punisce l’aiuto al suicidio. Una norma che, per decenni, è stata la pietra angolare dell’impedimento normativo a qualsiasi forma di accompagnamento legalmente lecito alla morte volontaria, anche nei casi di sofferenza insopportabile e irreversibile. Ma la storia non è rimasta ferma.
Il GIP (Giudice delle Indagini Preliminari) del Tribunale di Milano ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 580 cod. pen., in riferimento agli artt. 2, 3, 13, 32, secondo comma, e 117, primo comma, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 8 e 14 CEDU, «nella parte in cui prevede la punibilità della condotta di chi agevola l’altrui suicidio nella forma di aiuto al suicidio medicalmente assistito di persona non tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale affetta da una patologia irreversibile fonte di sofferenze fisiche o psicologiche intollerabili che abbia manifestato la propria decisione, formatasi in modo libero e consapevole, di porre fine alla propria vita».
Il sistema italiano tra vincoli penali e aperture costituzionali
L’attuale ordinamento italiano si muove in un campo minato, dove la punibilità dell’aiuto al suicidio convive, per effetto dell’intervento della Corte costituzionale, con un riconoscimento circoscritto della non punibilità. Questo riconoscimento ha avuto origine con la sentenza n. 242 del 2019, vero e proprio spartiacque giurisprudenziale. In quell’occasione, la Corte ha riconosciuto che, in presenza di determinate condizioni, non vi è offesa al bene vita che giustifichi la sanzione penale dell’aiuto al suicidio.
Le condizioni, tuttavia, sono rigorose: il paziente deve essere tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetto da patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche che reputa intollerabili, e pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli. Deve inoltre aver avuto accesso a cure palliative e alla procedura medicalizzata prevista dalla legge n. 219/2017, con il coinvolgimento del Servizio sanitario nazionale e il parere favorevole di un comitato etico.
Un limbo burocratico cosparso da insidie spesso aventi le sembianze degli obiettori di coscienza (altro gravissimo problema tutto italiano).
In assenza di una disciplina legislativa organica, è la Corte a dettare i margini di liceità, tracciando un sentiero stretto, dove l’autonomia del paziente viene tutelata senza compromettere la necessaria protezione delle persone più fragili.
Le tappe di un cammino giurisprudenziale e sociale
Già con l’ordinanza n. 207 del 2018, la Corte aveva aperto il varco a una riflessione costituzionale non più rinviabile, sospendendo il giudizio sull’art. 580 c.p. e sollecitando il legislatore a intervenire. Il richiamo al principio personalista dell’art. 2 Cost., alla dignità umana e al diritto all’autodeterminazione segnava un cambio di paradigma.
La sentenza n. 242 del 2019 ha poi formalizzato una prima deroga alla punibilità, costruendo una “cintura di protezione” attorno alla scelta estrema del suicidio assistito. Il principio cardine è che l’autonomia individuale, per essere veramente tale, deve potersi esercitare in condizioni che ne garantiscano la genuinità. E questo implica un contesto informato, medicalmente assistito, sottratto a pressioni esterne.
Da allora, la Corte ha continuato a vigilare, con una linea giurisprudenziale coerente: la sentenza n. 50 del 2022 ha dichiarato inammissibile un referendum che avrebbe depenalizzato l’omicidio del consenziente, ritenendo insufficiente la protezione della vita. La sentenza n. 135 del 2024 ha riaffermato, con forza, la necessità di un bilanciamento tra autodeterminazione e tutela del bene vita.
La sentenza Della Corte Costituzionale 66/2025: una nuova tessera nel mosaico costituzionale
La più recente decisione della Corte, oggetto di questo commento, si inserisce con coerenza in questo quadro, respingendo nuovamente le censure di legittimità costituzionale dell’art. 580 c.p., sollevate dal GIP del Tribunale di Milano.
Il cuore dell’argomentazione è duplice. Da un lato, la Corte chiarisce che non vi è violazione degli artt. 8 e 14 CEDU, richiamando la sentenza della Corte EDU nel caso Karsai c. Ungheria (2024), che riconosce agli Stati un ampio margine di apprezzamento in materia di suicidio assistito. La Corte costituzionale italiana sottolinea come tale bilanciamento tra vita e autodeterminazione non sia affatto imposto dalla CEDU, ma lasciato alla discrezione delle singole democrazie nazionali.
la Corte EDU riconosce agli Stati parte un considerevole margine di apprezzamento nel bilanciare il diritto alla vita privata – necessariamente coinvolto dalla decisione su come e quando morire – e le ragioni di tutela della vita umana, anche in ragione della persistente assenza di un consenso in materia tra gli Stati membri del Consiglio d’Europa.
Dall’altro, la Corte rifiuta l’equiparazione tra chi rifiuta un trattamento medico e chi chiede l’aiuto al suicidio al di fuori delle condizioni già sancite, ribadendo che la non punibilità è una eccezione giustificata da circostanze stringenti. Ogni ampliamento richiede una disciplina legislativa che assicuri le garanzie procedurali indispensabili.
La Corte cita le sentenze n. 135 del 2024, punto 5.1. del Considerato in diritto, e n. 50 del 2022, punto 5.2. del Considerato in diritto, la quale precisa, poi, al punto 5.3.: «quando viene in rilievo il bene della vita umana, la libertà di autodeterminazione non può mai prevalere incondizionatamente sulle ragioni di tutela del medesimo bene, risultando, al contrario, sempre costituzionalmente necessario un bilanciamento che assicuri una sua tutela minima».
La Corte approfondisce poi, con grande sensibilità, i due livelli di rischio che giustificano il mantenimento del reato, seppure modulato. Il primo è la protezione della persona fragile: anziani, depressi, malati soli, la cui volontà potrebbe essere distorta o indotta. Il secondo è il rischio di una deriva culturale, per cui l’esercizio del diritto a morire si trasformi nel dovere a non pesare sugli altri.
[…] In definitiva, se l’autodeterminazione della persona «evoca l’idea secondo cui ciascun individuo debba poter compiere da sé le scelte fondamentali che concernono la propria esistenza, incluse quelle che concernono la propria morte», tale nozione deve essere sottoposta «a un bilanciamento a fronte del contrapposto dovere di tutela della vita umana; bilanciamento nell’operare il quale il legislatore deve poter disporre, ad avviso di questa Corte, di un significativo margine di apprezzamento» (sentenza n. 135 del 2024, punto 7.3. del Considerato in diritto). […]
Altra attualissima osservazione fatta dalla corte è sui pericoli sottesi ad un eccessivo allargamento dell’autodeterminazione delle persone. Pericoli attualmente incorsi in molti stati e che hanno costretto questi a dei ripensamenti sulla facilità dell’accesso al suicidio assistito.
Non marginale è poi il rischio che la richiesta di accesso al suicidio assistito costituisca una scelta non sufficientemente meditata, come ha recentemente rilevato la Corte EDU (sentenza Karsai, paragrafo 151), sottolineando altresì come l’accertamento della genuinità della richiesta del paziente divenga particolarmente difficoltoso in determinate situazioni cliniche, come nelle patologie neurodegenerative.
Sono quindi le esigenze di tutela delle persone deboli e vulnerabili che danno rilievo alle precise condizioni procedurali costantemente ribadite da questa Corte (sentenze n. 135 del 2024 e n. 242 del 2019, ordinanza n. 207 del 2018).
Infine, la Corte rinnova il proprio appello al legislatore, denunciando l’inadeguatezza dell’attuale rete di cure palliative, spesso inaccessibili, diseguali e inefficaci. In assenza di tale rete, ammonisce la Corte, la richiesta di suicidio assistito può essere frutto non di autentica autodeterminazione, ma di una solitudine sistemica.
Infatti, il contatto con sanitari e con una struttura effettivamente in grado di assicurare la tempestiva attivazione di terapie palliative può garantire il diritto dei pazienti a ricevere informazioni complete sul loro percorso di cura e permettere a ogni persona l’opportunità di confrontarsi con la malattia e con l’ultimo tratto del cammino di vita in maniera dignitosa e libera da sofferenze, anche nella prospettiva di prevenire e ridurre in misura molto rilevante la domanda di suicidio assistito.
Ed attualmente il sistema sanitario italiano non è tra i migliori al mondo.
Un diritto costituzionale alla ri-cerca di un legislatore
Non sappiamo quando avremo la possibilità di vedere in Italia un legislatore abbastanza coraggioso, competente (competente) e forte da poter seriamente affrontare questo argomento. Tuttavia, fortunatamente, abbiamo una scuola giuridica tra le più antiche del mondo (se non la più antica) che spinge, strattona e trascina le evoluzioni necessarie della società abbandonate dalla politica.
La Corte Costituzionale ha parlato ancora una volta con voce ferma ma equilibrata, tenendo insieme il filo della libertà individuale e quello della tutela della vita, senza mai recidere nessuno dei due.
In assenza del legislatore, è il giudice delle leggi che si assume la responsabilità di tracciare confini, ma sempre nella consapevolezza che il suo è un ruolo supplente, non costituente.
La pronuncia, dunque, non è chiusura ma invito: invita il Parlamento a disciplinare in modo organico una materia tanto delicata, restituendo centralità alla volontà del paziente senza dismettere la responsabilità collettiva per la vita delle persone fragili.
In ultima analisi, questa sentenza non è solo una pagina di diritto, ma un esercizio di etica costituzionale, che ci ricorda come, nella civiltà giuridica, morire non può essere una scelta di solitudine, ma semmai, se consentita, deve essere il frutto di una libertà pienamente assistita, umanamente compresa, giuridicamente garantita.