Definizione di Consumatore

Il confine mobile del consumatore: verso una nozione funzionale e sistemica nella giurisprudenza europea

Una definizione che sembra semplice

Nel lessico giuridico corrente, la figura del “consumatore” è ormai onnipresente: dalle direttive europee alle discipline codicistiche, fino alle controversie più minute davanti ai giudici di pace. La sua definizione, apparentemente semplice, si fonda su un elemento soggettivo e finalistico: il consumatore è la persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale. Tale definizione è trasversalmente adottata sia dall’art. 3 del Codice del Consumo (d.lgs. 206/2005), sia da atti normativi europei fondamentali come l’art. 2, lett. b) della Direttiva 93/13/CEE e l’art. 17, par. 1, del Regolamento UE 1215/2012 (cd. Bruxelles I bis).

Tuttavia, come spesso accade in diritto, una definizione apparentemente semplice si rivela complessa sul piano applicativo. L’evoluzione della giurisprudenza, sia europea sia nazionale, ha mostrato che la qualificazione di un soggetto come “consumatore” non può prescindere dalla funzione della norma in cui tale qualifica è inserita, dando luogo a quella che si potrebbe definire una nozione funzionale e sistemica di consumatore. È proprio questa la chiave di lettura proposta dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE): la nozione di consumatore non è univoca né immutabile, ma si modella in funzione degli obiettivi e delle finalità della normativa di riferimento.

Il regolamento 1215/2012 e la direttiva 93/13/CEE  trattano entrambi di “consumatore”, ma in contesti diversi: competenza internazionale il primo (di stampo procedurale quindi), protezione contrattuale il secondo (di natura sostanziale).

Entrambi gli atti europei (Il regolamento e la direttiva) usano una nozione simile di consumatore, ma l’interpretazione varia leggermente in base allo scopo del testo. In Bruxelles I bis, la qualifica di consumatore è usata per stabilire garanzie di giurisdizione. In 93/13/CEE, è usata per attribuire protezione sostanziale contro clausole abusive. Tuttavia, la giurisprudenza della Corte di Giustizia (CGUE) cerca coerenza tra le definizioni, ma declina il concetto in modo funzionale a seconda dello scopo (competenza vs protezione contrattuale).

I principi internazionali che guidano il Diritto

La natura strumentale della nozione di consumatore

Il primo aspetto che emerge dall’analisi giurisprudenziale è che la qualifica di “consumatore” non possiede un significato rigido e universale. Al contrario, essa assume una valenza strumentale, strettamente legata alla funzione protettiva che la norma intende svolgere. Questo porta ad affermare, in termini quasi paradossali ma giuridicamente corretti, che un soggetto può essere considerato consumatore in una certa disposizione normativa, ma non in un’altra. Tale apparente contraddizione è solo il riflesso della relatività funzionale della categoria.

Questa dinamica si manifesta con particolare evidenza nel confronto tra due ambiti: da un lato, il diritto sostanziale, in cui la figura del consumatore funge da perno per la protezione da clausole abusive, pratiche commerciali scorrette e squilibri contrattuali; dall’altro, il diritto processuale, in cui essa rileva ai fini della determinazione della competenza giurisdizionale e delle regole del processo. La Corte di Giustizia ha più volte sottolineato tale distinzione, affermando che le finalità delle due normative (rispettivamente, la Direttiva 93/13/CEE e il Regolamento 1215/2012) sono diverse, e che, di conseguenza, anche la nozione di consumatore non può che essere diversa.

La dimensione sostanziale: una protezione ampia e inclusiva

Nel diritto sostanziale, la qualifica di consumatore funge da criterio selettivo per l’applicazione di un sistema di protezione rafforzata. L’intero impianto della Direttiva 93/13/CEE si basa sulla constatazione che il consumatore, inteso come parte debole del contratto, necessita di una tutela speciale rispetto alle clausole contrattuali predisposte unilateralmente dal professionista. Tale protezione è tanto più necessaria in un contesto economico in cui la contrattazione standardizzata e la redazione unilaterale delle condizioni generali di contratto sono la norma.

La Corte di Giustizia ha ribadito che la nozione di consumatore deve essere interpretata in senso ampio, includendo anche quei soggetti che, pur avendo concluso un contratto con finalità potenzialmente “economiche”, non agiscono in modo professionale, sistematico o organizzato. Così, ad esempio, l’acquisto di un appartamento con l’intenzione di affittarlo non priva necessariamente l’acquirente dello status di consumatore, se tale attività non assume i connotati di un’impresa.

Una zona grigia ancora più scivolosa riguarda gli acquisti a fini di investimento. In particolare, nei casi di contratti di mutuo, acquisto di immobili, finanziamenti per attività potenziali.

È consumatore chi acquista un appartamento con l’intenzione di affittarlo? E se lo fa per generare un reddito alternativo, pur non esercitando alcuna attività professionale? La Corte di Giustizia UE ha recentemente risposto con un’importante sentenza (C-2024/7292), affermando che:

L’articolo 2, lettera b), della direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori deve essere interpretato nel senso che:

“una persona fisica che stipula un contratto di mutuo ipotecario al fine di finanziare l’acquisto di un unico bene immobile residenziale per concederlo in locazione dietro corrispettivo rientra nella nozione di «consumatore», ai sensi di tale disposizione, qualora tale persona fisica agisca per fini che non rientrano nell’ambito della sua attività professionale. Il solo fatto che detta persona fisica intenda ricavare redditi dalla gestione di tale immobile non può, di per sé, condurre ad escludere la suddetta persona dalla nozione di «consumatore», ai sensi di detta disposizione.In altre parole, il solo intento speculativo o lucrativo non fa automaticamente dell’acquirente un professionista.”

La Sentenza

È l’organizzazione imprenditoriale, l’uso strutturato di mezzi e risorse, a rilevare. Un orientamento coerente con l’art. 2082 c.c., secondo cui è imprenditore chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata.

In tal senso, il criterio determinante non è l’esito economico del contratto (il fatto che ne derivi un reddito), ma la qualità personale del soggetto e la sua esperienza contrattuale, nonché la natura del rapporto con il professionista.

La prospettiva processuale: una nozione più rigorosa

Diversamente, nella dimensione processuale, la qualifica di consumatore serve a determinare regole di competenza derogatorie, che mirano a proteggere il consumatore dalle complicazioni e dai costi di un processo instaurato in un foro lontano e potenzialmente sconosciuto. In questo contesto, la CGUE ha adottato un’interpretazione più restrittiva e concreta della nozione, per evitare abusi di diritto.

In cause come C-774/19, Koelzsch, o più recentemente C-177/22, la Corte ha osservato che il foro del consumatore può essere invocato solo quando ricorrano precisi presupposti, tra cui l’effettiva estraneità del contratto rispetto a un’attività professionale. Non è sufficiente una dichiarazione astratta o formale: occorre verificare la reale natura del rapporto e l’eventuale impiego di intermediari, come società fiduciarie, che possano celare un’attività economica.

La Sentenza

Questa giurisprudenza si basa sulla necessità di evitare che la parte “più forte” del contratto possa strumentalizzare la qualifica di consumatore per ottenere un vantaggio in sede processuale.

Contratti a doppio scopo e professionisti “ibridi”

Una delle aree più complesse e discusse è quella dei contratti a duplice scopo, in cui la persona fisica agisce sia per fini personali che professionali. Esempi tipici sono quelli di medici, architetti o liberi professionisti che acquistano beni e servizi utilizzabili tanto nella vita privata quanto nell’esercizio della loro attività. In tali casi, la giurisprudenza, sia europea che italiana, ha ritenuto applicabile la tutela del consumatore qualora lo scopo professionale non sia predominante.

Questo criterio, già espresso nella Direttiva 2013/11/UE, è stato recepito anche dal nostro ordinamento e confermato da diverse sentenze della Corte di Cassazione. La valutazione deve essere caso per caso, prendendo in considerazione l’utilizzo prevalente del bene o del servizio acquistato, la sua strumentalità rispetto all’attività professionale, e la presenza (o meno) di un’organizzazione imprenditoriale.

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Investitori, mutuatari e l’equivoco dell’attività economica

Un’altra area grigia riguarda i mutuatari e gli acquirenti immobiliari che agiscono per finalità d’investimento. Le banche, in sede di contenzioso, tendono spesso a negare la qualifica di consumatore all’acquirente che dichiara di voler affittare l’immobile, ritenendo tale scelta una forma di attività economica. Tuttavia, la giurisprudenza – anche nazionale – ha chiarito che l’intento di trarre un reddito non implica automaticamente la perdita dello status di consumatore.

Secondo l’art. 2082 c.c., per potersi parlare di impresa è necessario che l’attività sia organizzata e svolta in modo professionale. Pertanto, il semplice acquisto di un immobile con finalità locativa – se isolato, occasionale e privo di strutturazione imprenditoriale – non esclude la protezione del Codice del Consumo. La recente sentenza n. 7292/2024 della Cassazione ha confermato questo principio, richiamando proprio la nozione di consumatore desumibile dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia.

Il caso delle locazioni brevi e la gestione di immobili

Una concreta applicazione di questi principi si ha nel fenomeno delle locazioni brevi, disciplinate dall’art. 4 del d.l. 50/2017. Qui il legislatore ha introdotto un regime fiscale e contrattuale semplificato per chi concede in locazione immobili ad uso abitativo per periodi inferiori a 30 giorni. L’Agenzia delle Entrate, nella risposta n. 278/2020, ha precisato che anche in caso di gestione di più immobili, il contribuente può non essere considerato imprenditore, se manca un’organizzazione stabile, dipendenti o strumenti tipici di un’attività imprenditoriale.

Questa posizione, condivisa anche in sede giurisprudenziale, ha importanti riflessi sul piano civilistico: l’affittuario occasionale può ancora beneficiare della qualifica di consumatore, con tutto ciò che ne consegue in termini di foro competente, tutele e diritti.

Le conseguenze pratiche della qualificazione

La corretta individuazione dello status di consumatore ha effetti rilevanti, non solo sul piano della competenza giurisdizionale (art. 66-bis Cod. Consumo), ma anche per quanto riguarda:

  • L’applicabilità delle tutele contro le clausole abusive
  • Il diritto di recesso nei contratti a distanza
  • Le regole sulle pratiche commerciali scorrette
  • La possibilità di agire in giudizio davanti al giudice di pace, anche per valori economici limitati

Un errore nella qualificazione può quindi compromettere l’equilibrio contrattuale e precludere l’accesso a importanti strumenti di tutela.

Verso una nozione dinamica, concreta e relazionale

Alla luce della giurisprudenza più recente, si può affermare che la nozione di consumatore non può essere considerata in modo astratto o assoluto. Essa si configura come una nozione dinamica, da valutare alla luce:

  • Delle finalità della norma applicata (sostanziali o processuali)
  • Della relazione concreta tra le parti
  • Del contesto economico e organizzativo in cui si colloca l’attività contrattuale

Il diritto europeo invita a non presumere rigidamente lo status di consumatore, ma a valutarlo in modo contestuale e concreto. Ciò comporta anche una maggiore responsabilità per gli interpreti e i giudici, chiamati a valutazioni più complesse, ma anche più eque e realistiche.

Conclusione: il consumatore come figura “mobile”

Il “consumatore” non è una figura statica, né una categoria giuridica cristallizzata. È, al contrario, una figura mobile, fluida, sistemica, che si adatta alla norma e alla funzione che essa svolge. Il diritto europeo ci insegna che la giustizia non è nell’uniformità delle definizioni, ma nella loro coerenza funzionale.

In questo senso, il consumatore non è solo il cittadino medio che acquista per sé e per la propria famiglia, ma può essere anche il professionista che agisce al di fuori della sua attività, il mutuatario occasionale, il piccolo investitore, il proprietario che affitta saltuariamente. L’importante è che il contratto non sia strutturato professionalmente, e che il soggetto mantenga una posizione di debolezza informativa e contrattuale.

Questa è la prospettiva che emerge con forza dalla giurisprudenza più recente: un diritto capace di cogliere le sfumature della realtà economica e sociale, senza cedere alla rigidità delle categorie astratte. Un diritto, in definitiva, più giusto.

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