Il diritto di critica: fondamento, limiti e interpretazioni giurisprudenziali

Dalla libertà al confronto: una bussola tra diritto, etica e giurisprudenza

Il diritto di critica: definizione e natura giuridica

Nel vocabolario giuridico, il “diritto di critica” è una delle espressioni più nobili della libertà di manifestazione del pensiero. È la possibilità riconosciuta a ciascun individuo di esprimere giudizi, opinioni, valutazioni e persino censura nei confronti di comportamenti, scelte o posizioni altrui, purché ciò avvenga nel rispetto di alcuni parametri giuridicamente rilevanti.

La critica non è, per sua natura, oggettiva: non si limita a narrare fatti, ma li interpreta, li giudica, li valuta. Questo distingue il diritto di critica dal diritto di cronaca, che si riferisce invece alla narrazione veritiera di fatti di pubblico interesse. Tuttavia, entrambi sono figli legittimi dell’articolo 21 della Costituzione italiana, secondo cui «tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».

A livello internazionale, tale diritto trova tutela nell’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU), che riconosce la libertà di espressione come diritto fondamentale, soggetto a limitazioni solo se “necessarie in una società democratica” per la protezione di beni giuridici come la reputazione altrui, la sicurezza nazionale, la prevenzione dei reati o la tutela della morale.

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Perché il diritto di critica è essenziale

In una democrazia, la libertà di critica è il sale del dibattito pubblico. Essa consente ai cittadini di esprimere dissenso, di vigilare sull’operato dei pubblici poteri, di denunciare storture o incongruenze nella gestione della cosa pubblica. Non si tratta solo di un diritto individuale, ma di uno strumento collettivo per il buon funzionamento del sistema democratico.

La Corte di Strasburgo, in più occasioni, ha sottolineato che i limiti alla libertà di espressione devono essere interpretati restrittivamente, soprattutto quando le opinioni riguardano personaggi pubblici o temi di interesse generale (cfr. Lingens c. Austria, 1986). Secondo i giudici di Strasburgo:

le figure pubbliche, per la posizione che occupano, devono tollerare un più ampio margine di critica.


I limiti del diritto di critica: verità, continenza, interesse pubblico

Il diritto di critica, pur essendo ampio, non è illimitato, ci sono tre limiti fondamentali prestati dalla giurisprudenza sul diritto di cronaca e adattati al diritto di critica, ma di questi tre elementi solo uno è realmente importante nel diritto di Critica.

La giurisprudenza italiana ha individuato una triade di condizioni che ne delimitano l’esercizio legittimo:

  • La verità del fatto presupposto: la critica deve fondarsi su fatti veri, sebbene il giudizio espresso possa essere soggettivo.
  • La continenza espressiva: si impone un linguaggio civile, che eviti insulti gratuiti, espressioni volgari o attacchi alla dignità personale.
  • L’interesse pubblico: la critica deve avere rilievo sociale o attinenza a tematiche di pubblico interesse.

Questi tre criteri — verità del fatto, continenza espressiva e interesse pubbliconascono storicamente come requisiti per la scriminante del diritto di cronaca giornalistica.

Nel caso della critica, la situazione è diversa, perché:

  • la verità non è sempre verificabile, poiché la critica è opinione soggettiva (e non un fatto oggettivo);
  • l’interesse pubblico non è sempre necessario (si può criticare anche qualcosa di privato o personale);
  • resta fermo solo il requisito della continenza espressiva, perché nessun diritto può mai giustificare l’insulto gratuito o la denigrazione personale.

È necessario l’interesse pubblico?

No. L’interesse pubblico è fondamentale solo quando si invoca la scriminante dell’art. 51 c.p. per fatti penalmente rilevanti (es. diffamazione). Ma:

  • la critica politica ha sempre un interesse pubblico presunto;
  • la critica privata (es. tra cittadini, su social o in ambito non giornalistico) non ha bisogno di dimostrare un interesse pubblico esplicito, a meno che si configuri un reato.

Esempio:

Un cittadino può dire su Facebook: “Io trovo che l’atteggiamento della mia ex collega sia ipocrita e falso, anche se è sempre sorridente”.

Se il tono è contenuto e non offensivo, nessun giudice potrà contestare la mancanza di interesse pubblico ovviamente: si tratta di opinione personale, lecita, purché non denigratoria o insultante.

Cos’è la “verità del fatto presupposto”?

Quando si esercita la critica (es. “Quel politico è arrogante e autoritario”), non si pretende che ciò sia “vero” in senso assoluto: è un giudizio soggettivo.

Tuttavia, la giurisprudenza impone che la critica si fondi su un fatto reale e non su invenzioni o falsità.

Esempio concreto:

Se dici: “Quel ministro è pericoloso perché ha dichiarato che vuole eliminare l’opposizione” — la tua critica può essere dura, ma il fatto da cui parti dev’essere vero. Se quella frase non è mai stata pronunciata, allora la critica si basa su un presupposto falso e può diventare diffamatoria, quindi fermati prima di affermare qualcosa.

Quindi:

Il diritto di critica è più libero del diritto di cronaca, perché non è vincolato al dovere di verità, ma solo alla verità del fatto presupposto e al rispetto formale.

Questi criteri sono costantemente richiamati dalla Corte di Cassazione. Si veda, ad esempio, la sentenza n. 41767/2009, secondo cui «è legittima la critica politica se si fonda su fatti veri, è di interesse generale e non trascende in attacchi personali gratuiti». Anche la recente Cass. Pen., Sez. V, n. 4530/2022 (Alloro), ribadisce che la critica politica, specie se esercitata da giornalisti, gode di una protezione rafforzata.

Tuttavia, è importante precisare che questi tre criteri – verità, continenza e interesse pubblico – nascono come parametri del diritto di cronaca giornalistica, e non si applicano in modo identico alla critica. Infatti, come abbiamo detto nel diritto di critica:

  • La verità non è sempre richiesta in senso assoluto, perché la critica è per definizione un’opinione soggettiva. È sufficiente che il fatto da cui scaturisce il giudizio sia reale (la cosiddetta verità del fatto presupposto);
  • L’interesse pubblico non è sempre necessario, soprattutto se la critica è esercitata da cittadini comuni in contesti privati o sui social. L’interesse sociale diventa essenziale solo quando si valuta la scriminante penale (es. diffamazione);
  • L’unico criterio sempre imprescindibile è quello della continenza espressiva: la forma del linguaggio deve rimanere civile, rispettosa e non offensiva, anche nella critica più aspra.

Ciò significa che un cittadino può esprimere liberamente un’opinione negativa su un comportamento, un’idea o perfino il carattere di una persona, senza dover dimostrare un interesse collettivo, purché resti nei limiti del rispetto formale.

La giurisprudenza ha più volte affermato che la critica può essere aspra, ironica, persino paradossale, a condizione che non si traduca in un attacco personale gratuito.

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IL VERO LIMITE: LA CONTINENZA

La continenza espressiva è e resta un presidio di civiltà giuridica. La continenza espressiva è l’argine che separa la critica, anche severa, dall’offesa gratuita. Non si tratta di censurare le opinioni forti, né di limitare il dissenso, ma di garantire che la comunicazione, anche quando aspra, si mantenga entro binari di civiltà e rispetto.

La continenza richiede: che il linguaggio non sia ingiurioso, triviale o umiliante; che non si ricorra a espressioni denigratorie o a epiteti offensivi che svuotano di contenuto il pensiero critico per lasciare spazio solo all’aggressione verbale; che ci sia un rapporto di proporzione tra il giudizio critico e i toni usati.

È proprio attraverso questo parametro che il diritto si assume il compito di tutelare sia la libertà di espressione, sia la dignità della persona. L’utilizzo di un linguaggio violento o volgare, infatti, non è scriminato neppure dalla correttezza dei fatti, perché svilisce la funzione sociale della critica, che è quella di contribuire al dibattito, non di distruggere l’avversario.

Esempio: dire che un politico è “un pericoloso incapace che dovrebbe stare in galera” non rispetta la continenza, anche se l’intenzione è criticare le sue decisioni. Dire invece che “le scelte di quel politico sono pericolose e rivelano incompetenza” è una forma critica aspra ma rispettosa.

In questo senso, la continenza rappresenta il vero limite strutturale e trasversale del diritto di critica: è sempre necessaria, per tutti, in ogni contesto.

La giurisprudenza ha più volte affermato che la critica può essere aspra, ironica, persino paradossale, a condizione che non si traduca in un attacco personale gratuito.

Il ruolo del giudice: come si valutano i limiti?

Nel bilanciamento tra diritto di critica e tutela dell’onore o della reputazione, il giudice svolge un ruolo di regista attento. Deve accertare, in concreto, se la critica:

  • si basi su un fatto reale di base, anche se soggettivamente interpretato;
  • sia espressa con moderazione, evitando il turpiloquio o l’aggressione verbale;
  • mantenga un tenore proporzionato rispetto all’obiettivo dell’espressione;
  • non sia indirizzata alla denigrazione personale, ma finalizzata all’espressione di un’opinione o giudizio.

Il giudice non valuta la verità in senso assoluto (come fa nel caso della cronaca), ma la coerenza tra fatto e giudizio, la forma espressiva e la proporzionalità del linguaggio. Solo in presenza di elementi chiaramente offensivi, falsi o umilianti, la critica perde il suo valore giuridicamente protetto e può integrare estremi di reato (diffamazione).

Un criterio guida è la distinzione tra critica e diffamazione. Quando l’espressione travalica i limiti sopra indicati, e mira solo a screditare l’altrui reputazione, essa perde la protezione costituzionale e diventa penalmente rilevante.


Il diritto di critica: privilegio del giornalista o diritto del cittadino?

In un contesto moderno fatto di politici, personaggi e personaggetti che fanno mandare lettere a strascico dai propri avvocati per raccattare qualche spicciolo molto spesso si dimentica che il diritto di critica esiste anche per il cittadino.

Il diritto di critica è garantito a tutti i cittadini, ma trova una forma più strutturata nel lavoro giornalistico; vero. Il giornalista ha il dovere di informare e, dunque, una maggiore responsabilità nella verifica delle fonti, nella correttezza formale e nell’equilibrio delle opinioni.

Tuttavia, anche il privato cittadino può esercitare il diritto di critica, ad esempio sui social network, nei comizi, nei blog personali, ecc. In tali casi, la giurisprudenza ha chiarito che vanno comunque rispettati i principi di verità, continenza e pertinenza. Tuttavia entro i limiti della continenza si può esprimere liberamente e serenamente il proprio pensiero (!)

Il giornalista ha però una sorta di “scriminante rinforzata”, derivante dalla rilevanza sociale della sua funzione. In particolare, alla stampa è riconosciuto il compito costituzionale di “controllo” sul potere, funzione che giustifica un margine di libertà espressiva più ampio, come sostenuto nella giurisprudenza CEDU (si veda Fressoz e Roire c. Francia, 1999).

Contesti comunicativi e strumenti di valutazione

Come nel precedente contributo si è visto con riferimento al lettore e al telespettatore medio, la valutazione del contesto è cruciale. Una frase, di per sé lecita, può diventare diffamatoria se inserita in un contesto suggestivo o fuorviante.

In Cass. Pen., Sez. V, n. 9839/1998 (Scalfari), si afferma che il giudice deve considerare se il “lettore medio” possa percepire un significato diffamatorio non esplicito, a causa del contesto editoriale in cui è inserita l’informazione. Tale parametro è stato esteso anche al “telespettatore medio”, come ribadito nella sentenza su Travaglio (Cass. Pen., Sez. V, n. 24378/2024): il giudice deve tener conto della capacità di discernimento di chi fruisce abitualmente del mezzo televisivo, e non del fruitore disattento o frammentario.

Critica come dovere civico oltre che diritto

Il diritto di critica non è solo una prerogativa, ma anche una forma di partecipazione alla vita pubblica. Esso richiede consapevolezza, responsabilità e rispetto dei limiti imposti dalla legge e dalla convivenza civile. In una società dell’informazione dove ogni cittadino può farsi “emittente”, il confine tra libertà e diffamazione si fa sottile e scivoloso.

Per questo, la riflessione giuridica deve affiancarsi alla riflessione etica, perché la critica – anche quando è dura – sia sempre veicolo di confronto e mai strumento di distruzione personale.

Come ci ricorda la Corte costituzionale (sent. n. 126/1985), la libertà di espressione non è solo libertà di dire, ma anche libertà di essere ascoltati in un contesto che consenta il formarsi di un’opinione pubblica consapevole. Ed è qui che il diritto di critica trova il suo senso più profondo.

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