tra sicurezza, privacy e prova giudiziale. Il nuovo crocevia del diritto assicurativo
La diffusione delle telecamere da cruscotto nelle automobili pone interrogativi cruciali tra garanzie individuali, ammissibilità probatoria e rischi di sorveglianza diffusa. Un piccolo oggetto elettronico, grande quanto un pacchetto di sigarette, può cambiare il corso di un giudizio. Le dash cam, telecamere da cruscotto sempre più presenti nei veicoli privati, si collocano oggi in un terreno giuridico affascinante e controverso: tra diritto assicurativo, tutela della privacy e prova atipica nel processo civile e penale. Il fenomeno, infatti, investe non solo l’ambito assicurativo ma si inserisce nel più ampio dibattito sulla digitalizzazione della giustizia e sul ruolo che i privati possono avere nella produzione e gestione della prova.
Cos’è una dash cam: tra tecnologia e funzione
La dash cam è una telecamera installata sul parabrezza o sul cruscotto di un’autovettura. Registra costantemente quanto accade davanti (e a volte dietro) al veicolo, anche in modalità “loop”, sovrascrivendo i dati più vecchi. A differenza della scatola nera, che traccia dati telemetrici, la dash cam produce vere e proprie immagini: una forma di “videosorveglianza mobile”. In alcuni modelli, dotati di sensori di movimento e GPS, la funzione di sorveglianza si estende anche a veicolo spento, configurando un monitoraggio potenzialmente costante e continuo. Questa evoluzione tecnologica apre scenari inediti che sollevano interrogativi su finalità lecite, durata di conservazione e legittimità del trattamento dei dati.
Cornice normativa: Dash Cam – legalità condizionata
In Italia non esiste una legge ad hoc sulle dash cam. Tuttavia, il loro uso ricade sotto:
- Codice della Strada (artt. 141 e 169): obbligo di non ostacolare la visuale del conducente;
- Codice della Privacy (D.lgs. 196/2003) e GDPR (Reg. UE 2016/679);
- Codice Civile (art. 2712 c.c.);
- Codice Penale (artt. 617-bis, 623-bis c.p.).
Il principio generale è che l’uso è legittimo se finalizzato a scopi personali, di tutela, proporzionato, e se non comporta diffusione non autorizzata di dati personali (targhe, volti, voci). L’uso sistematico o la condivisione dei filmati su piattaforme pubbliche o social network, in assenza di anonimizzazione dei soggetti ripresi, può costituire un trattamento illecito dei dati personali. La valutazione di liceità deve quindi essere condotta caso per caso, tenendo conto della finalità perseguita, delle modalità tecniche impiegate e del rischio di ledere diritti altrui.
Prova atipica o tecnologia del futuro?
La dash cam può rappresentare una svolta nel contenzioso RCA. L’art. 2712 c.c. riconosce valore probatorio alle riproduzioni meccaniche, salvo contestazioni. Alcune sentenze recenti ne hanno riconosciuto l’utilizzabilità. Tuttavia, resta l’onere di dimostrare l’autenticità e la continuità della registrazione. È importante ricordare che, pur essendo una prova atipica, la videoregistrazione può incidere in modo determinante sulla decisione giudiziale, specialmente nei casi di sinistro senza testimoni oculari. Alcuni tribunali stanno già sviluppando prassi per l’ammissione tecnica di questo tipo di materiale, con la possibilità di affiancare la registrazione a perizie digitali sul file.
Dash cam e privacy: un equilibrio difficile
Se da un lato la dash cam tutela chi la installa, dall’altro può violare la riservatezza altrui. La videosorveglianza passiva, specie se continua e a veicolo spento, può sfociare in illecito amministrativo o penale. L’art. 160-bis del Codice della Privacy vieta l’uso in giudizio di dati acquisiti in violazione della normativa, salvo che siano allegati a una denuncia/querela: una zona grigia che pone problemi sistemici. Inoltre, l’impiego massivo di questi dispositivi potrebbe avere effetti dissuasivi sulla libertà di movimento e sulla spontaneità delle relazioni sociali nello spazio pubblico, alimentando un senso di sorveglianza pervasiva non sempre giustificato da un interesse concreto e immediato.
Le domande giuridiche del futuro
- Le compagnie assicurative arriveranno a imporre (o incentivare) l’uso delle dash cam?
- Il legislatore dovrà regolamentare in modo specifico questi dispositivi?
- È lecito registrare a veicolo spento su suolo pubblico per difendersi, per esempio, da atti vandalici?
- I dati raccolti possono entrare in banche dati a fini antifrode? Con quali garanzie?
- L’uso diffuso può degenerare in una forma di “videosorveglianza di massa” dal basso?
- Come si valuta la proporzionalità tra l’interesse alla prova e la tutela della riservatezza?
- Le dash cam potranno essere oggetto di regolazione comunitaria, come per la black box?
Vantaggi e rischi: il bilancio per la società Dal punto di vista pratico, le dash cam possono:
- Ridurre il numero di cause in materia di responsabilità civile automobilistica;
- Velocizzare la liquidazione dei sinistri;
- Contrastare truffe assicurative;
- Offrire tutela alle vittime di comportamenti aggressivi su strada;
- Documentare incidenti e comportamenti illeciti in assenza di testimoni;
- Costituire strumento deterrente verso comportamenti antisociali.
Ma al contempo possono:
- Alimentare forme di controllo sociale improprio;
- Innescare conflitti giuridici legati alla privacy;
- Creare disparità tra chi può permettersi la tecnologia e chi no;
- Spingere verso un’ulteriore mercificazione dei dati personali;
- Esporre a rischi di hackeraggio o manipolazione dei dati;
- Legittimare, se non regolamentato, un fai-da-te probatorio che rischia di indebolire le garanzie processuali.
La dash cam è un esempio perfetto di come il diritto debba rincorrere l’innovazione. Strumento utile, ma anche potenzialmente pericoloso, essa impone un bilanciamento delicato tra esigenze di giustizia, sicurezza e libertà individuale. La sua diffusione richiede una riflessione sistemica: non si tratta solo di aggiornare le norme, ma di interrogarsi su quale modello di società si voglia costruire. Sarà compito del legislatore, della giurisprudenza e della dottrina trovare un equilibrio che non sacrifichi l’una all’altra, ma che permetta una convivenza coerente tra progresso tecnologico e diritti fondamentali.
Le dash cam nel sistema delle registrazioni: prova atipica, ma sempre più riconosciuta
Le registrazioni effettuate mediante dash cam si inseriscono nel più ampio contesto delle prove atipiche, disciplinate dagli articoli 2712 c.c. nel processo civile e 189 e 234 c.p.p. nel processo penale. In quanto riproduzioni meccaniche, i filmati prodotti da questi dispositivi possono costituire valida prova documentale, purché non realizzati in violazione di norme imperative o diritti fondamentali. La giurisprudenza ha progressivamente riconosciuto l’ammissibilità dei video dash cam nei procedimenti giudiziari, specialmente in ambito assicurativo e in caso di sinistri stradali, valorizzandone l’efficacia probatoria in assenza di testimoni diretti.
Tuttavia, l’uso di queste registrazioni è subordinato a una duplice verifica: da un lato, il rispetto delle norme sulla privacy e sulla protezione dei dati personali (GDPR e Codice Privacy); dall’altro, l’autenticità e la genuinità del file, ossia l’assenza di manipolazioni, interruzioni o alterazioni. In ambito penale, la soglia di ammissibilità è più alta: una registrazione non può essere acquisita se ottenuta in modo fraudolento o lesivo della riservatezza altrui, specie in luoghi non pubblici o senza il consenso delle persone riprese.
In definitiva, le dash cam non sono ancora espressamente disciplinate da una normativa ad hoc, ma si innestano in modo crescente nella prassi giudiziaria, assumendo un ruolo sempre più rilevante come strumenti di autodocumentazione. Il diritto è chiamato a confrontarsi con una tecnologia che sfida la distinzione tra osservatore e testimone, tra tutela della verità e protezione della riservatezza. Una sfida che, come spesso accade, passa attraverso l’interpretazione giudiziale più che la legislazione formale.
L’adozione della dash cam non è solo una scelta tecnologica: è un atto politico, sociale e giuridico. La videocamera sul cruscotto è l’occhio dell’automobilista, ma potrebbe diventare anche quello dello Stato o dell’assicuratore. E ogni occhio che guarda, chiede di essere regolato. Il diritto non può restare cieco di fronte a questa nuova visione: deve imparare a vedere, ma anche a distinguere, a filtrare, a bilanciare. La giustizia del futuro passa anche da qui.

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