Genitorialità, uguaglianza e tutela del minore: il congedo di paternità obbligatorio nelle coppie omogenitoriali femminili.
Fare le cose a metà è un classico dell’Italia. Così come è un classico impantanarsi nella burocrazia infinita di leggi scritte male e senza il supporto di decreti attuativi. Così fatta una legge che riconosce un diritto si crea un labirinto burocratico che non consente il concretizzarsi di quel diritto. E come sempre tocca agli Avvocati e ai Giudici riparare alle mancanze del legislatore. La Corte costituzionale con la sentenza 115/2025 ha segnato un nuovo passo verso il riconoscimento sostanziale (sostanziale) dell’eguaglianza tra forme diverse di genitorialità, pronunciandosi sull’illegittimità costituzionale dell’art. 27-bis del d.lgs. 151/2001, nella parte in cui non prevede il congedo di paternità obbligatorio anche per la madre intenzionale all’interno di una coppia di donne, entrambe riconosciute genitori nei registri dello stato civile. La sentenza n. 115/2025 non è soltanto una correzione normativa, ma una narrazione costituzionale che intreccia uguaglianza, diritti fondamentali, tutela del minore e lacune legislative che la Corte si trova, ancora una volta, a colmare.
La norma censurata e la questione sollevata
L’articolo 27-bis del d.lgs. 151/2001, introdotto dal d.lgs. 105/2022 in attuazione della direttiva (UE) 2019/1158, disciplina il congedo obbligatorio di dieci giorni per il “padre lavoratore”, da fruirsi in occasione della nascita del figlio. La disposizione, tuttavia, si limita a menzionare espressamente il “padre”, escludendo ogni riferimento a figure genitoriali alternative, come la madre intenzionale all’interno di una coppia omogenitoriale.
Va ricordato, a questo punto, che prima ancora di essere un diritto dei genitori, questa disposizione è concepita per garantire protezione al primario interesse del minore.
Il minore «[andava] tutelato “non solo per ciò che attiene ai bisogni più propriamente fisiologici, ma anche in riferimento alle esigenze di carattere relazionale ed affettivo che sono collegate allo sviluppo della sua personalità”» (sentenza n. 179 del 1993, punto 3 del Considerato in diritto in diritto ; in termini, sentenza n. 104 del 2003) per un’opera del legislatore e dell’interprete che ha «enucleato in maniera sempre più nitida [che è] proprio tale finalità che ispira, sul versante legislativo, la progressiva estensione del trattamento di maternità anche alle ipotesi di affidamento e adozione» (sentenza n. 205 del 2015, punto 4 del Considerato ) per giungere ai termini di una perfetta parità tra i genitori adottivi (sentenza n. 105 del 2018).
La questione di legittimità è stata sollevata dalla Corte d’appello di Brescia (ord. n. 242/2024), nel contesto di un’azione antidiscriminatoria promossa da un’associazione contro l’INPS. In tale contesto, si denunciava la discriminazione insita nella struttura informatica dell’INPS, che non consentiva alle coppie omogenitoriali di presentare domanda per il congedo obbligatorio attraverso il proprio portale. La rimettente lamentava il contrasto con gli artt. 3 e 117, co. 1, Cost., quest’ultimo in relazione agli artt. 2 e 3 della direttiva 2000/78/CE e all’art. 4 della direttiva 2019/1158/UE.
Nell’indicato contesto, si inserisce il dubbio di illegittimità costituzionale sul diritto al congedo obbligatorio di cui all’art. 27- bis del d.lgs. n. 151 del 2001 delle coppie di genitori lavoratori dello stesso sesso che, composte da due donne e riconosciute come tali nei registri dello stato civile, sono trattate in modo diseguale rispetto a coppie genitoriali composte di persone di sesso diverso, pur nell’indifferenza degli obblighi di cura del figlio minore, e dei diritti che ne derivano, rispetto al genere.
Riassumendo, una famiglia, già riconosciuta, già formata, viene trattata in maniera diversa da un’altra famiglia solo perché composta da generi non binari.
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La stessa corte con la sentenza 68/2025 era dovuta, nuovamente, intervenire per tappare le falle di un legislatore assente e riconoscere al nato in Italia a seguito di procreazione medicalmente assistita eterologa, legittimamente praticata in uno Stato estero nel rispetto della lex loci, da una coppia di donne, l’attribuzione dello status di figlio riconosciuto anche dalla cosiddetta madre intenzionale che, insieme alla donna che ha partorito, abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa (sentenza n. 68 del 2025).
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Il percorso argomentativo della Sentenza della Corte costituzionale n. 115/2025
La Corte costituzionale ha accolto la questione, riconoscendo che la norma nazionale crea una discriminazione manifesta, evidente, lampante tra coppie eterosessuali e omosessuali, pur in presenza di situazioni giuridicamente equivalenti. Secondo i giudici, l’esclusione della madre intenzionale dalla fruizione del congedo obbligatorio di cui all’art. 27-bis è irragionevole e contrasta con l’art. 3 Cost., in quanto nega tutela a una figura genitoriale che ha assunto concretamente responsabilità e doveri nei confronti del minore.
Richiamando precedenti consolidati (tra cui le sentenze nn. 285/2010, 105/2018, 102/2020, 68/2025), la Corte ha sottolineato che l’interesse del minore deve prevalere e che la responsabilità genitoriale prescinde dall’orientamento sessuale dei genitori. La centralità dell’interesse del minore – evocato anche dagli artt. 30 e 31 Cost. – impone il riconoscimento giuridico di entrambe le figure genitoriali, in presenza di un progetto condiviso di cura e accudimento.
Il contesto normativo e giurisprudenziale
Il congedo di paternità obbligatorio, introdotto in modo stabile dal d.lgs. 105/2022 in recepimento della direttiva (UE) 2019/1158, rappresenta una misura volta a favorire l’equilibrio tra lavoro e vita familiare. L’art. 4 della direttiva prevede espressamente che tale diritto debba essere riconosciuto al “secondo genitore equivalente”, ove così qualificato dal diritto interno. E proprio su questo aspetto si innesta il ragionamento della Corte: nel diritto italiano, la giurisprudenza civile e costituzionale ha ormai riconosciuto la madre intenzionale come genitore, attraverso la trascrizione degli atti di nascita formati all’estero o mediante adozione in casi particolari (art. 44, co. 1, lett. d), l. 184/1983).
La Corte richiama in particolare la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., sez. un., sent. n. 38162/2022; Cass., sez. I, sent. n. 23319/2021), che ha ritenuto legittima la trascrizione di atti di nascita con due madri, validamente formati all’estero, anche in presenza di tecniche di PMA non consentite in Italia. Così, in virtù di un orientamento che valorizza la responsabilità genitoriale e l’interesse del minore, il genitore intenzionale è a tutti gli effetti “secondo genitore equivalente” ai sensi della direttiva UE.
La lacuna legislativa e il ruolo della Corte
Il punto più critico, evidenziato dalla stessa Corte, è l’inerzia del legislatore. In più occasioni – basti ricordare le sentenze n. 32/2021, n. 230/2020 e n. 161/2023 – la Corte ha evidenziato vuoti normativi in tema di omogenitorialità e ha sollecitato un intervento legislativo organico. Tuttavia, l’assenza di una riforma strutturata ha costretto ancora una volta la Corte ad adottare una pronuncia additiva, al fine di evitare effetti discriminatori contrari ai principi costituzionali.
In questo contesto, l’intervento della Corte assume una funzione supplente: essa non modifica la struttura della norma, ma ne estende l’ambito soggettivo, includendovi le lavoratrici che rivestano il ruolo di secondo genitore in una coppia di donne registrate come genitori. Si tratta, dunque, di una correzione doverosa, imposta dalla necessità di garantire la coerenza sistemica dell’ordinamento con i valori costituzionali fondanti.
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Tra diritto e riconoscimento
La sentenza n. 115/2025 rappresenta l’ennesima tappa di un percorso giurisprudenziale volto a colmare le inadempienze di un legislatore restio ad affrontare in modo diretto e sistemico il tema dell’omogenitorialità. La Corte, ribadendo l’impossibilità di negare diritti sulla base dell’orientamento sessuale, riafferma che la genitorialità si misura non sulla base del sesso biologico o della tradizione normativa, ma sull’effettiva assunzione di responsabilità verso il minore.
In definitiva, la pronuncia segna un passo avanti verso una concezione inclusiva della genitorialità, in cui ciò che conta è l’interesse del bambino e la capacità affettiva e relazionale dei suoi genitori. In assenza di una legislazione organica, è la giurisprudenza a costruire – sentenza dopo sentenza – i lineamenti di un diritto della famiglia coerente con i valori di uguaglianza, solidarietà e tutela dell’infanzia.
Bibliografia normativa e giurisprudenziale essenziale:
- Art. 27-bis, d.lgs. 151/2001
- Direttiva (UE) 2019/1158
- Corte cost. sent. n. 115/2025, n. 68/2025, n. 102/2020, n. 285/2010
- Cass. civ. SS.UU. n. 38162/2022, Cass. civ. I sez. n. 23319/2021
- Art. 44, co. 1, lett. d), l. 184/1983
- Art. 3, 30, 31, 117 Cost.