Il requisito dell’estraneità ad ambienti mafiosi come elemento costitutivo della fattispecie legale: Sentenza Cass. civ., sez. III, 3 luglio 2025, n. 18106.
La sentenza della Corte di Cassazione n. 18106 del 2025 ripercorre e analizza gli arresti giurisprudenziali relativi all’accesso al Fondo di rotazione per la solidarietà alle vittime di reati di tipo mafioso. Questo strumento, istituito con la legge n. 512 del 1999, ha la funzione di anticipare, in via sussidiaria, le somme dovute a titolo di risarcimento da parte dei condannati per reati di stampo mafioso, qualora questi risultino insolvibili o irreperibili. Il termine “fondo di rotazione” deriva dalla natura contabile dell’istituto: le somme anticipate dallo Stato dovrebbero teoricamente essere recuperate, almeno in parte, attraverso azioni di rivalsa nei confronti dei condannati, creando così un meccanismo di rotazione delle risorse economiche.
La pronuncia ribadisce con chiarezza il principio secondo cui il requisito dell’estraneità ad ambienti delinquenziali costituisce un presupposto immanente e costitutivo del diritto soggettivo al beneficio, indipendentemente dalla esplicitazione normativa sopravvenuta con la legge n. 122/2016. Tale principio risponde alla logica di garantire che le risorse pubbliche siano destinate esclusivamente a soggetti realmente meritevoli, cioè completamente avulsi da contesti criminali.
La giurisprudenza della Corte di Cassazione ha svolto, nel corso degli anni, un ruolo centrale e determinante nel delineare i confini applicativi dell’accesso al Fondo di rotazione previsto dalla legge n. 512 del 1999.
La sentenza n. 18106/2025, in particolare, rappresenta una pronuncia paradigmatica e di forte rilevanza teorica e pratica, nella quale si chiarisce in via definitiva che il requisito dell’estraneità agli ambienti mafiosi costituisce un elemento strutturale e imprescindibile del diritto soggettivo all’elargizione, già presente nel corpo normativo sin dalla legge n. 302 del 1990. Tale requisito non può essere ridotto a mera condizione procedurale, ma deve essere considerato un parametro sostanziale di meritevolezza che condiziona la stessa genesi del diritto.
Il quadro normativo: evoluzione e continuità sistematica
Il primo riferimento normativo di rilievo è l’art. 1, comma 2, lett. b), della legge 20 ottobre 1990, n. 302, il quale subordina l’erogazione delle provvidenze pubbliche alla condizione che la vittima sia “del tutto estranea ad ambienti e rapporti delinquenziali”. Tale previsione trova eco e continuità nell’art. 2-quinquies del d.l. 2 ottobre 2008, n. 151, convertito nella legge 28 novembre 2008, n. 186, che estende detta condizione ai superstiti delle vittime, configurando così un sistema di garanzie fondato sul principio della radicale separazione tra vittima e contesto criminale.
La legge n. 512/1999, istitutiva del Fondo di rotazione, ha recepito questa impostazione di fondo, pur senza esplicitarla in origine, ma riconducendola per implicito alla ratio dell’intervento solidaristico. Si tratta, dunque, di un quadro normativo coerente e organico, che ha costruito nel tempo un’architettura fondata sulla logica della selettività dei beneficiari in funzione di una effettiva meritevolezza. La successiva legge n. 122/2016 ha introdotto, all’art. 4, comma 3, l’espresso richiamo al requisito in questione, con funzione eminentemente ricognitiva, intesa a dare conferma testuale a un principio già insito nella struttura normativa pregressa.
La posizione della giurisprudenza
un percorso coerente Già con Cass. civ., sez. III, n. 28820/2019, la Corte aveva affermato in modo inequivoco che la condizione di estraneità agli ambienti mafiosi non è una novità introdotta ex novo dalla legge del 2016, bensì un presupposto implicito nella struttura della normativa preesistente. La sentenza in commento prosegue e consolida questa linea interpretativa, chiarendo che si tratta di un “requisito immanente allo scopo stesso della legge”, e dunque non suscettibile di essere derogato o relativizzato in base a contingenze procedurali o interpretazioni restrittive.
Ulteriori conferme si rinvengono nelle pronunce Cass. n. 28627/2023, Cass. n. 12146/2024 e Cass. n. 6007/2024, che dimostrano l’esistenza di un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato. La giurisprudenza ha così sviluppato un criterio interpretativo orientato alla tutela della coerenza teleologica della normativa: l’intervento pubblico non può mai tradursi in un sostegno, diretto o indiretto, a soggetti che abbiano avuto rapporti anche marginali o occasionali con il contesto criminale che ha causato l’evento lesivo.
Il contributo della Corte costituzionale: sent. n. 122/2024
Rilevante è l’apporto della sentenza della Corte costituzionale n. 122/2024, che ha confermato la legittimità della previsione di requisiti stringenti di meritevolezza, ritenendo però irragionevole la presunzione assoluta di indegnità fondata su legami parentali con soggetti sottoposti a misure di prevenzione. La Corte ha così implicitamente avallato la centralità del criterio sostanziale dell’estraneità come indice selettivo legittimo e proporzionato, suggerendo un approccio fondato su una valutazione concreta della condotta individuale e non su automatismi normativi.
Questa prospettiva offre un equilibrio tra la necessità di garantire un uso razionale delle risorse pubbliche e il rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini, evitando che misure di prevenzione si traducano in sanzioni collettive per l’ambiente familiare della persona sottoposta a indagini o condanne.
L’interpretazione del requisito
condotta di vita e onere probatorio Particolarmente significativa è l’affermazione, contenuta nella sentenza in commento, secondo cui l’estraneità non si esaurisce nella mera incensuratezza, ma richiede la prova di una “condotta di vita antitetica al codice di comportamento delle organizzazioni malavitose”. Ne deriva un onere probatorio significativo in capo al richiedente, che deve dimostrare, con argomenti positivi, l’assenza di contiguità, connivenze o ambiguità comportamentali. Non si tratta, dunque, di un criterio meramente formale, ma di un requisito sostanziale, che implica un accertamento approfondito del vissuto, delle frequentazioni, del comportamento pubblico e privato del soggetto.
Tale interpretazione impone una ridefinizione degli standard probatori applicabili nei procedimenti amministrativi e giurisdizionali relativi all’accesso ai benefici previsti per le vittime di criminalità organizzata, con un impatto significativo sulla prassi delle amministrazioni competenti e sul contenzioso correlato.
Profili dottrinari e implicazioni sistematiche
La dottrina più attenta (si vedano, tra gli altri, Romboli 2020; Galloni 2022; Basile 2023) ha sottolineato come il principio dell’esclusività solidaristica a favore delle “vittime innocenti” rappresenti una clausola di chiusura del sistema, coerente con i principi di ragionevolezza, legalità e buon andamento dell’azione amministrativa. L’effetto è quello di un equilibrio tra garanzie individuali e tutela dell’interesse pubblico alla legalità, in un quadro nel quale la prevenzione della criminalità passa anche attraverso meccanismi rigorosi di selezione dei destinatari dei benefici pubblici.
Al contempo, il dibattito dottrinario ha evidenziato la necessità di sviluppare criteri giurisprudenziali uniformi e trasparenti nella valutazione della “condotta di vita” richiesta al richiedente, onde evitare margini eccessivi di discrezionalità che potrebbero compromettere la certezza del diritto.
La sentenza Cass. n. 18106/2025 ha rafforzato e chiarito in modo definitivo l’idea di un diritto soggettivo all’elargizione fondato su requisiti sostanziali di meritevolezza e su una visione teleologica dell’intervento pubblico.
Essa sancisce, con argomentazione puntuale, sistematica e fondata su un’ampia rassegna normativa e giurisprudenziale, che la legge n. 122/2016 non ha introdotto un nuovo criterio, ma ha semplicemente dato forma esplicita a una condizione già implicita nella ratio dell’ordinamento.
Tale indirizzo interpretativo risponde all’esigenza di garantire un uso coerente, selettivo e costituzionalmente orientato delle risorse pubbliche, evitando il paradosso di un sostegno a soggetti che, direttamente o indirettamente, partecipano al sistema criminale. L’approccio seguito dalla Corte rappresenta quindi un modello di coerenza tra testo normativo, prassi applicativa e valori costituzionali.