TFR e Divorzio: il Confine tra Retribuzione e Previdenza nella Sentenza 20132/2025 della Cassazione

La sentenza n. 20132/2025 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione affronta, con chiarezza sistematica e ampia rassegna giurisprudenziale, una questione sempre più attuale: cosa accade al diritto alla quota del TFR spettante all’ex coniuge titolare di assegno divorzile quando il lavoratore, prima dell’avvio del giudizio di divorzio, abbia versato integralmente il TFR maturato in un fondo di previdenza complementare?

La risposta della Corte è netta: il diritto ex art. 12-bis, l. 898/1970, non sorge se il TFR è stato già oggetto di un conferimento legittimo a un fondo pensione prima dell’instaurazione del giudizio. Tuttavia, le prestazioni previdenziali integrative derivanti da quel conferimento possono rilevare ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile.

Il principio affermato ha profonde ricadute pratiche e teoriche, in un momento storico in cui la previdenza complementare è ormai divenuta una realtà consolidata per molti lavoratori.

Approfondisci: TFR e Divorzio


La questione: TFR in fondo pensione e divorzio

Nel caso oggetto della pronuncia, la moglie ricorrente, titolare di assegno divorzile, chiedeva il riconoscimento della quota del 40% del TFR maturato dall’ex marito, il quale era andato in pensione nel novembre 2020. Tuttavia, nel marzo 2018 – prima ancora dell’instaurazione del giudizio di divorzio (avviato a maggio 2018) – il marito aveva versato tutto il TFR maturato nel fondo Previndai, esercitando una facoltà riconosciuta dal diritto previdenziale (art. 23, co. 7-bis, d.lgs. 252/2005, modificato dalla l. 244/2007).

Il Tribunale, inizialmente, aveva condannato l’ex marito al versamento della quota, ma la Corte d’Appello aveva riformato la decisione, escludendo ogni spettanza alla ex coniuge.

La Cassazione ha confermato la decisione d’appello, offrendo un’articolata motivazione.


La decisione della Corte: la massima

La Corte ha stabilito che:

“Il diritto alla quota del TFR ex art. 12-bis L. n. 898/1970 non si applica ai conferimenti del TFR, già maturato, in un fondo di previdenza complementare, se effettuati prima della proposizione della domanda di divorzio.”

Tuttavia, le prestazioni pensionistiche derivanti da tali conferimenti (rendite o capitali), se e quando effettivamente percepite, possono rilevare ai fini della quantificazione dell’assegno divorzile.


Il ragionamento della Corte

Il cuore del ragionamento risiede in due distinzioni fondamentali:

  • TFR vs. Previdenza complementare: il TFR ha natura retributiva differita, mentre una volta conferito in un fondo pensione, cambia natura, divenendo credito previdenziale soggetto a regole autonome.
  • Tempistica: il diritto alla quota del TFR spetta solo se l’indennità è percepita dopo la proposizione del giudizio di divorzio. Se il TFR è stato conferito prima, l’ex coniuge non ha più titolo a rivendicarne una quota.

La Corte ha quindi ritenuto legittima la condotta dell’ex marito, che aveva esercitato un diritto riconosciuto dall’ordinamento, senza intento elusivo o abuso del diritto, come invece sostenuto dalla moglie.

La natura giuridica del TFR e la mutazione in prestazione previdenziale

Il TFR, come ribadito dalla Corte, ha natura retributiva differita (v. Cass. Sez. L, n. 6333/2019; Sez. U, n. 6229/2024), matura anno per anno ed è soggetto a rivalutazione periodica (art. 2120 c.c.).

Una volta conferito a un fondo pensione, però, mutano natura e regime giuridico: le somme confluite diventano patrimonio separato (art. 6, co. 9, d.lgs. 252/2005), non aggredibile né disponibile per scopi diversi, e possono essere liquidate solo a prestazione maturata (art. 11, d.lgs. cit.).

Come ricordato anche da Cass. Sez. Un., n. 4684/2015, la previdenza complementare è un rapporto autonomo rispetto a quello lavorativo, che attribuisce al lavoratore solo una aspettativa condizionata alla maturazione dei requisiti.

Leggi anche: L’Assegno Unico Universale INPS


Esempio pratico

Immaginiamo due coniugi, Anna e Marco. Marco lavora in un’azienda privata e, nel corso della sua carriera, ha accumulato un TFR di 150.000 euro. Prima che Anna avvii il giudizio di divorzio, Marco versa tutto il TFR in un fondo pensione. Al momento della pensione, riceverà una rendita mensile da questo fondo.

Cosa accade al momento del divorzio?

  • Anna ha diritto all’assegno divorzile, se ne ricorrono i presupposti (art. 5 L. 898/1970).
  • Ma non ha diritto alla quota del TFR (il famoso 40%), perché questo è stato trasformato in pensione integrativa prima del divorzio.
  • Tuttavia, la maggiore capacità economica di Marco (dovuta alla rendita del fondo) può portare ad un assegno divorzile più alto, come accaduto nella sentenza, dove è passato da €800 a €1.200 mensili.

La ratio dell’art. 12-bis L. 898/1970: compensazione, non partecipazione patrimoniale

L’art. 12-bis L. 898/1970 riconosce al coniuge divorziato – titolare di assegno e non risposato – una quota (40%) del TFR percepito dall’altro coniuge. La Corte Costituzionale (sent. n. 23/1991) e le Sezioni Unite (Cass. 6229/2024) ne sottolineano la natura mista: compensativa e assistenziale, finalizzata a riconoscere il contributo dato alla formazione del patrimonio comune e al sostegno dell’ex coniuge più debole.

Tuttavia, la Corte precisa che:

  • il diritto sorge solo se il TFR è percepito dopo la domanda di divorzio (Cass. 5553/1999; Cass. 14997/2003);
  • se il TFR è stato erogato o anticipato prima, non si genera alcuna quota (Cass. 24421/2013; Cass. 19427/2003);
  • il conferimento a fondo pensione è assimilato a una disposizione irreversibile, che fa perdere la natura retributiva alle somme (Cass. 16084/2021; Cass. 12367/2017).

La decisione è perfettamente in linea con i precedenti (Cass. 5553/1999, 19427/2003, Sez. Un. 6229/2024). Rafforza il principio di intangibilità degli atti patrimoniali leciti anteriori alla domanda di divorzio. Rende cruciale la tempistica del conferimento del TFR ai fini della spettanza della quota ex art. 12-bis.

Non è sufficiente essere ex coniuge e titolare di assegno per avere automaticamente diritto al 40% del TFR. Se il TFR è già stato convertito in fondo pensione prima del divorzio, la quota non spetta. Il giudice, però, potrà aumentare l’assegno divorzile tenendo conto delle nuove risorse dell’ex coniuge.


tutela o elusione?

La decisione della Cassazione va nella direzione della certezza del diritto: riconosce la piena validità agli atti di disposizione del TFR che avvengono prima del divorzio. Non può essere rimproverato l’uso di un istituto previdenziale previsto dalla legge, anche se indirettamente sottrae risorse all’eventuale divisione post-coniugale.

Peraltro, l’uso della previdenza complementare non è indifferente ai fini dell’assegno divorzile: le prestazioni ricevute dall’ex coniuge possono e devono essere valutate dal giudice per adeguare l’importo dell’assegno (come nel caso di specie, da €800 a €1.200/mese).

La Cassazione chiarisce che la previdenza complementare è fuori dal perimetro dell’art. 12-bis, ma dentro quello dell’assegno divorzile. Un confine netto, ma con ricadute tutt’altro che marginali.

La Sentenza