Privacy, cronaca giudiziaria e immagini degli arrestati: la Cassazione traccia i confini del bilanciamento tra diritto all’informazione e tutela dei dati personali

Con la sentenza n. 20387/2025 la Corte di Cassazione (Sez. I Civile) interviene in un delicato conflitto tra diritto alla protezione dei dati personali e diritto di cronaca, chiarendo i presupposti di liceità della pubblicazione di immagini di soggetti indagati, con particolare riferimento all’art. 8 del Codice deontologico dei giornalisti e alle regole europee sulla privacy.

Sentenza in calce

Il caso e il contesto normativo della sentenza n. 20387/2025 la Corte di Cassazione

La controversia trae origine da un provvedimento del Garante per la protezione dei dati personali (n. 54/2023) che aveva vietato ad un gruppo televisivo l’ulteriore diffusione di alcune immagini pubblicate in un articolo di cronaca giudiziaria sul sito di un giornale. Le immagini ritraevano alcuni soggetti arrestati, coinvolti in una cosiddetta “banda del buco”, accusata di gravi reati e oggetto di un procedimento penale.

Il Garante aveva ritenuto che la pubblicazione di tali immagini costituisse un trattamento illecito dei dati personali, in violazione dell’art. 5, par. 1, lett. a) del Regolamento UE 2016/679 (GDPR), dell’art. 137, co. 3 del Codice della Privacy (D.lgs. 196/2003), nonché degli articoli 6, 8 e 12 del Codice deontologico dei giornalisti. In sede di opposizione, il Tribunale di Milano, con sentenza n. 168/2024, ha annullato il provvedimento del Garante, riconoscendo la liceità della pubblicazione in quanto conforme al diritto di cronaca giudiziaria e rispettosa dei principi di essenzialità dell’informazione.

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I motivi del ricorso del Garante

Il Garante ha proposto ricorso per cassazione affidandosi a due motivi principali:

  • violazione e falsa applicazione dell’art. 8 del Codice deontologico, in combinato disposto con l’art. 2-quater del Codice Privacy, lamentando che la Corte territoriale non avrebbe adeguatamente considerato il contesto informativo e la lesione della dignità degli interessati;
  • violazione dell’art. 5 del GDPR, dell’art. 137 del Codice Privacy e degli artt. 6 e 12 delle Regole deontologiche giornalistiche, in quanto la diffusione delle immagini sarebbe avvenuta in difetto di consenso e senza rispettare i limiti imposti dalla normativa vigente in materia di trattamento dati.

Il percorso argomentativo della Cassazione

La Corte di Cassazione ha sviluppato un articolato percorso argomentativo, volto a chiarire i criteri che legittimano il trattamento giornalistico dei dati personali e, in particolare, la pubblicazione di immagini.

Richiama anzitutto:

  • l’art. 137 del Codice Privacy, che consente il trattamento dei dati anche in assenza di consenso dell’interessato, purché effettuato nell’ambito dell’attività giornalistica e nel rispetto delle regole deontologiche previste dall’art. 139;
  • le Regole deontologiche relative al trattamento dei dati personali nell’esercizio dell’attività giornalistica, adottate con D.M. 31 gennaio 2019, con particolare riferimento:
    • all’art. 6, che sancisce il principio di essenzialità dell’informazione e la necessità che la divulgazione sia indispensabile in relazione al fatto narrato;
    • all’art. 8, che vieta la diffusione di immagini lesive della dignità della persona o raffiguranti soggetti in stato di detenzione salvo specifici presupposti;
    • all’art. 12, che disciplina la cronaca giudiziaria e consente il trattamento di dati relativi a procedimenti penali entro i limiti dell’interesse pubblico.

La Corte valorizza inoltre le disposizioni del GDPR, in particolare i considerando 4) e 153), nonché l’art. 85, che sottolineano la necessità di un equo bilanciamento tra protezione dei dati personali e libertà di espressione e di informazione, tutelate anche dall’art. 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.

La Cassazione evidenzia che le regole deontologiche non possono essere oggetto di interpretazione estensiva o analogica, in quanto potenzialmente limitative della libertà di stampa. Ne consegue che il Garante non può attribuire a tali norme significati più ampi rispetto a quelli testualmente desumibili. L’art. 8, pertanto, vieta la pubblicazione solo in presenza di determinati presupposti oggettivi: immagini in cui si evinca lo stato di detenzione (es. manette), atteggiamenti degradanti, condizioni umilianti.

Nel caso di specie, le fotografie contestate ritraevano semplicemente i volti degli indagati in posizione frontale, prive di riferimenti numerici, posture compromettenti o indicatori visivi di uno stato coercitivo. La presenza del logo della Polizia non è stata ritenuta di per sé idonea a qualificare l’immagine come “segnaletica” o lesiva.

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Il ruolo del bilanciamento: diritto all’informazione vs. tutela della riservatezza

La Corte afferma un principio fondamentale: non esiste un divieto assoluto di pubblicazione di immagini che richiamino contesti di polizia giudiziaria, purché tali immagini siano funzionali alla narrazione giornalistica e rispettino i requisiti di proporzionalità, essenzialità dell’informazione e tutela della dignità.

Richiama in tal senso la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare la sentenza Toma vs. Romania, che ha ritenuto lesivo della privacy il comportamento delle autorità che avevano diffuso immagini del ricorrente in stato di fermo, con segni visibili di violenza e senza consenso. La Corte di Strasburgo ha sottolineato che l’ingerenza nel diritto alla vita privata deve essere giustificata e proporzionata.

Applicando tale orientamento, la Cassazione ribadisce che non è la provenienza dell’immagine a determinarne la liceità, ma il suo contenuto concreto e il contesto in cui è inserita. Solo immagini degradanti o lesive possono essere vietate; viceversa, immagini neutrali e funzionali alla cronaca sono da ritenersi legittime.

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I principi di diritto enunciati

La Corte enuncia una serie di principi di diritto di grande rilevanza sistematica:

  • la valutazione della legittimità del trattamento dei dati deve avvenire “caso per caso”, sulla base di dati sostanziali e non attraverso automatismi;
  • non è legittimo assimilare qualsiasi immagine con logo “Polizia” a una foto segnaletica;
  • il trattamento dei dati personali a fini giornalistici è lecito anche in assenza del consenso, purché sia rispettato il principio di essenzialità dell’informazione e non vi sia lesione della dignità della persona ritratta;
  • il potere sanzionatorio del Garante trova limite nell’ambito delle regole deontologiche, che non possono essere estese oltre la loro formulazione letterale.

La sentenza in esame riafferma con forza l’importanza del diritto di cronaca e del ruolo dell’informazione nella società democratica, evidenziando al contempo i limiti al potere regolatorio e sanzionatorio del Garante per la Privacy.

Nel contesto attuale, caratterizzato da una diffusione capillare delle informazioni attraverso i media digitali, è fondamentale che le valutazioni sulla liceità del trattamento dei dati si fondino su criteri di proporzionalità, concretezza e interesse pubblico. Il giudizio non può arrestarsi alla mera apparenza dell’immagine, ma deve esaminare il suo reale contenuto informativo e la sua incidenza sulla sfera personale degli interessati.

La pronuncia della Corte costituisce quindi un precedente autorevole, in grado di orientare futuri conflitti tra diritto all’informazione e diritto alla riservatezza, rafforzando la tutela di entrambi attraverso un bilanciamento ragionato e rispettoso dei principi costituzionali ed europei. Essa si rivolge non solo agli operatori del diritto, ma anche al mondo del giornalismo, cui viene richiesto un esercizio consapevole e responsabile della propria funzione informativa.

La Sentenza

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