Giurisdizione e responsabilità della P.A. nella gestione del demanio marittimo: Sezioni Unite Ord. Cass., Sez. U, 31 gennaio 2025, n. 2312
Il caso: una casa sul mare, un danno, un rimpallo
Immaginate una piccola abitazione a ridosso della costa, costruita regolarmente decenni fa, ora minacciata ogni inverno da marosi sempre più impetuosi. Le onde non sono più quelle di un tempo: hanno mutato direzione, potenza, intensità. Il motivo? Una serie di opere realizzate da stabilimenti balneari — concessi in uso dalla pubblica amministrazione — che hanno alterato il naturale equilibrio del sistema di correnti marine e impedito il riciclo del materiale sabbioso.
Il proprietario dell’immobile, dopo anni di solleciti caduti nel vuoto, agisce in giudizio. Ma non si limita a chiedere un generico risarcimento per i danni già subiti: pretende che il Comune e la Regione siano condannati a eseguire le opere necessarie per ripristinare lo stato dei luoghi, rimettendo mano a quel tratto di costa stravolto dalle concessioni mal gestite.
La questione è sottile e insidiosa: a quale giudice spetta decidere? È il giudice amministrativo, competente sulle concessioni e le scelte autoritative della P.A., o il giudice ordinario, chiamato a valutare una responsabilità da fatto illecito?
Il principio: la pubblica amministrazione risponde come un privato se viola il neminem laedere
Le Sezioni Unite della Cassazione, con l’ordinanza n. 2312 del 31 gennaio 2025, tracciano una linea netta. Stabilendo la giurisdizione del giudice ordinario, affermano che:
“L’inosservanza da parte della P.A., nella gestione e manutenzione dei beni che ad essa appartengono, delle regole tecniche, ovvero dei canoni di diligenza e prudenza, può essere denunciata dal privato dinanzi al giudice ordinario […] anche ove sia volta ad ottenere la condanna della stessa ad un facere […], giacché la domanda non investe scelte ed atti autoritativi dell’Amministrazione, ma attività soggetta al rispetto del principio del neminem laedere.”
Il fulcro della decisione sta proprio qui: non ogni azione della P.A. è espressione di potere autoritativo. Quando la pubblica amministrazione si comporta come un qualsiasi altro soggetto di diritto — ad esempio nella gestione concreta dei beni pubblici, nella cura del territorio, nella manutenzione delle infrastrutture — essa è tenuta al rispetto del principio generale del neminem laedere ex art. 2043 c.c., e può essere convenuta davanti al giudice civile per rispondere di eventuali danni (e persino per essere condannata a eseguire opere).
Errore della Pubblica Amministrazione
Il fondamento normativo e l’esclusione dell’art. 133, lett. f), c.p.a.
La pronuncia si pone in aperta esclusione dell’applicabilità dell’art. 133, comma 1, lett. f), del Codice del processo amministrativo, che riserva al giudice amministrativo la giurisdizione esclusiva nelle controversie in materia di concessioni di beni pubblici.
Nel caso deciso, non si discuteva della legittimità della concessione, né si chiedeva l’annullamento di atti amministrativi: il cuore della domanda era la richiesta di un facere risarcitorio (ripristino delle condizioni naturali del litorale) e la denuncia di una condotta colposa della P.A. nella gestione del demanio marittimo.
Non c’è dunque esercizio di potere pubblico, ma comportamento materiale, soggetto — come qualsiasi altro — alla giurisdizione civile.
I precedenti conformi: una linea già tracciata
L’ordinanza in esame si innesta su una linea giurisprudenziale già avviata:
- Cass., Sez. Un., n. 9318/2019 (Rv. 653272-01): la P.A. risponde dinanzi al giudice ordinario per danni da omessa manutenzione del patrimonio pubblico, se non è in discussione un atto autoritativo ma solo il comportamento illecito.
- Cass., Sez. Un., n. 14209/2023 (Rv. 667858-01): confermata la giurisdizione del giudice ordinario in un caso di danno da esondazione fluviale imputabile a carenze manutentive della Regione.
Queste decisioni avevano già chiarito che il discrimine non è la titolarità del bene pubblico, ma la natura della condotta contestata.
E le difformi? Il rischio della sovrapposizione
In senso (parzialmente) contrario, si erano espresse in passato pronunce che, in presenza di una domanda di facere rivolta alla P.A., avevano automaticamente ritenuto competente il giudice amministrativo, come nel caso di controversie che coinvolgono obblighi di fare collegati a concessioni, urbanistica, o scelte pianificatorie.
Ma l’ordinanza del 2025 chiarisce che la domanda di facere non implica di per sé il coinvolgimento di potere autoritativo: bisogna distinguere tra facere autoritativo (ad esempio l’adozione di un provvedimento) e facere materiale (come il ripristino di uno stato di fatto alterato per incuria).
Si parla di facere autoritativo quando l’attività richiesta alla pubblica amministrazione implica l’esercizio di un potere discrezionale o autoritativo, tipico del diritto pubblico. Per esempio: l’adozione di un provvedimento amministrativo (es. autorizzazione, concessione, ordinanza, piano); l’esercizio di un potere pianificatorio (es. urbanistica, edilizia); la gestione organizzativa o regolativa di interessi pubblici primari.
Quando la domanda giudiziale mira a ottenere un’attività di questo tipo, la giurisdizione è attribuita al giudice amministrativo, in forza dell’art. 7 del Codice del processo amministrativo (d.lgs. 104/2010), perché l’Amministrazione agisce iure imperii, in posizione di supremazia.
Il facere materiale: attività soggetta al diritto comune
Dall’altro lato, si ha facere materiale quando l’azione richiesta alla P.A. è una condotta concreta, esecutiva, meramente tecnica, del tutto avulsa da poteri autoritativi o discrezionali. Ad esempio: la manutenzione di una strada pubblica pericolosa per incuria; il ripristino di un argine danneggiato da un evento atmosferico; la rimozione di un pericolo concreto (albero pericolante, muretto crollato, buca stradale).
In questi casi, la P.A. non agisce più come autorità sovraordinata, ma come soggetto titolare di obblighi giuridici comuni, sottoposta al principio del neminem laedere (art. 2043 c.c.) e, in certi casi, alla responsabilità per cose in custodia (art. 2051 c.c.).
Di conseguenza, la giurisdizione è del giudice ordinario, come avviene in tutte le azioni di responsabilità extracontrattuale.
Una tutela più accessibile
Con questa pronuncia, le Sezioni Unite consolidano un principio di semplificazione e razionalizzazione delle tutele: il cittadino che subisce un danno a causa dell’inerzia o della cattiva gestione materiale della P.A. non è costretto a inoltrarsi nei tecnicismi della giurisdizione amministrativa, ma può rivolgersi al giudice civile, come farebbe con un qualsiasi danneggiante.
Il contributo più importante dell’ordinanza in commento è forse proprio questo: aver ricondotto la qualificazione del facere a un criterio funzionale e sostanziale, piuttosto che formale. Non conta come è formulata la domanda, ma che tipo di attività si pretende dalla P.A.: se si tratta di un’attività materiale, vincolata, tecnica, allora la competenza spetta al giudice ordinario, anche se l’attore chiede un facere.
La linea tracciata è chiara: la P.A. è soggetto di diritto come ogni altro, ogni volta che non esercita il potere, ma si limita a non fare il proprio dovere
Una tutela più diretta, più effettiva, e – almeno in teoria – più vicina all’intuizione di giustizia del cittadino comune.
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