La durata dei procedimenti in relazione all’Art. 8della CEDU
La sentenza S. c. Italia (ricorso n. 55228/20), pronunciata il 6 dicembre 2022 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (Quarta Sezione), affronta il problema della Durata dei Processi in relazione all’Art. 8 CEDU. Il focus si basa su un caso di interazione tra verità biologica e status giuridico di figlio, con riferimento al diritto all’identità personale e al rispetto della vita privata, sancito dal l’articolo 8 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Il caso riguarda l’impossibilità per una cittadina italiana, oggi sessantottenne, di vedere accertata giudizialmente la propria filiazione biologica a causa dell’obbligo, previsto dall’ordinamento interno, di attendere la definizione (con sentenza passata in giudicato) della precedente azione di contestazione di paternità.
Il punto centrale non è tanto la logica della procedura italiana, ma la durata del procedimento.
La ricorrente era a conoscenza dell’identità del padre biologico da tempo (presumibilmente attraverso dichiarazioni della madre o fonti familiari). Ha promosso una azione di contestazione dello stato di figlia legittima (nei confronti dell’uomo indicato nell’atto di nascita), come passaggio necessario per poi agire contro il presunto vero padre con un’azione di accertamento della paternità.
Ma qual’era il problema serio della questione?
Prima di richiedere il riconoscimento della paternità, pregiudizialmente si doveva disconoscere la precedente paternità. Quella dell’atto di nascita, ma nel tempo che occorreva a fare ciò non veniva data nessuna garanzia neppure preventiva alla ricorrente. Ciò poteva comportare una completa perdita dell’eventuale patrimonio ereditario.
Ma se era solo una questione di tempo, la ricorrente poteva appellarsi alla Legge Pinto no?
No
la Corte ricorda che, in procedimenti la cui durata ha un impatto evidente sulla vita familiare del ricorrente (e che rientrano pertanto nell’ambito di applicazione dell’articolo 8 della Convenzione), è necessario un approccio più rigido, che obblighi gli Stati a prevedere sia un ricorso preventivo che compensativo (Kuppinger c. Germania, n. 62198/11, § 143, 15 gennaio 2015, e Macready c. Repubblica ceca, nn. 4824/06 e 15512/08, § 48, 22 aprile 2010)
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo
Come funziona in Italia l’accertamento della paternità biologica:
Due passaggi procedurali distinti:
Azione di disconoscimento o contestazione della paternità legale: serve per “fare spazio” al nuovo legame, come richiesto dall’art. 9 della legge n. 184/1983 e art. 269 c.c.
Azione di dichiarazione giudiziale di paternità (art. 269 c.c.): serve per far accertare dal giudice il legame biologico con il nuovo soggetto.
Prove necessarie:
La prova principe è il test del DNA.
Tuttavia, prima che il giudice ordini il test, la parte deve presentare indizi gravi, precisi e concordanti che rendano verosimile la paternità (es. relazioni affettive, coabitazione, lettere, testimonianze).
Il DNA non è obbligatorio, ma è decisivo:
Se il presunto padre si rifiuta di sottoporsi al test, il giudice può comunque ritenere ammessa la paternità (Cass. civ. sez. I, 21 luglio 2003, n. 11331).
Nel caso in questione:
La ricorrente non ha potuto ancora accertare la paternità biologica tramite test del DNA, perché:
La sua azione è stata dichiarata inammissibile, essendo ancora pendente la causa di contestazione del primo padre (quello registrato all’anagrafe). In pratica, la legge italiana ha bloccato l’accesso alla prova biologica finché non si “libera” il posto giuridico del padre legale. Procedura ritenuta corretta dalla corte, ma eccessivamente lunga.
Le doglianze della ricorrente
La ricorrente ha invocato una violazione dell’articolo 8 CEDU, lamentando da un lato l’assenza di un rimedio effettivo che le permettesse di accelerare il processo. Dall’altro la prolungata incertezza identitaria (durata oltre 12 anni). Inoltre, come conseguenza l’impossibilità di ottenere una tutela patrimoniale o successoria nei confronti della famiglia del padre biologico (parr. 49-53).
La legge italiana la manteneva in un “limbo identitario” da oltre un decennio, in assenza di un rimedio effettivo che le consentisse di accelerare il procedimento. La pregiudizialità assoluta tra l’azione in contestazione di paternità e quella in ricerca della verità biologica creava un vulnus al rispetto della vita privata. L’assenza di meccanismi di tutela patrimoniale e nominale tra la perdita dello status legittimo e l’acquisto di quello biologico comportava una compressione dei diritti fondamentali. Il tutto causato dalla durata irragionevole del procedimento le causava un danno autonomo sotto il profilo morale e identitario.
La Corte EDU ha valorizzato numerosi precedenti per sostenere la rilevanza costituzionale ed europea del diritto a conoscere le proprie origini:
- Mikulić c. Croatie (n. 53176/99, CEDH 2002-I), secondo cui l’art. 8 protegge anche l’identità genetica e l’interesse a conoscere le proprie origini (§§ 51-58);
- Pascaud c. France (n. 19535/08, 16 giugno 2011), che chiarisce come tale diritto non venga meno con la maggiore età (§ 65);
- Odièvre c. France [GC], n. 42326/98, § 29, CEDH 2003-III;
- Jäggi c. Suisse (n. 58757/00, § 40, CEDH 2006-X);
- Godelli c. Italie (n. 33783/09, § 46, 25 settembre 2012);
- Zaieţ c. Roumanie (n. 44958/05, 24 marzo 2015).
Il quadro normativo e procedurale italiano
La normativa italiana non consente la sovrapposizione di status filiatòri. Ai sensi dell’art. 263 c.c., la contestazione di paternità è condizione necessaria e pregiudiziale per poter poi proporre un’azione di riconoscimento giudiziale della paternità biologica (art. 269 c.c.). La giurisprudenza di legittimità ha costantemente ribadito che tale ordine è inderogabile per ragioni di certezza giuridica (vedi Cass., sez. I civ., 6 aprile 2011, n. 7844).
La difesa dello Stato italiano Il Governo italiano ha impostato la propria linea difensiva su tre assi portanti. 1) Il sistema italiano di filiazione è finalizzato a evitare la sovrapposizione di status filiationis contraddittori, nel rispetto del principio di certezza del diritto e dell’efficacia erga omnes dei giudicati. 2) La pregiudizialità tra le due azioni è compatibile con l’art. 8 CEDU in quanto funzionale a garantire la coerenza dell’ordinamento giuridico. 3) Il giudice civile ha facoltà di sospendere uno dei due procedimenti o di accorparli, offrendo in tal modo un certo margine di flessibilità interpretativa e applicativa.
Il Governo italiano, nelle sue deduzioni (parr. 54-57 della sentenza), ha inoltre richiamato:
- l’articolo 295 c.p.c., che consente al giudice di sospendere una causa in attesa della definizione di un’altra avente carattere pregiudiziale;
- la necessità di garantire un ordine logico-giuridico evitando la coesistenza di legami di filiazione contraddittori (effetti erga omnes e ex tunc delle sentenze di contestazione);
- l’assenza, comunque, di un divieto assoluto di cumulo, purché il giudice valuti la pregiudizialità.
La valutazione della Corte EDU
La Corte ha riconosciuto che il sistema italiano, in astratto, può risultare compatibile con l’articolo 8, in quanto volto a tutelare l’ordine giuridico e la certezza dei rapporti di filiazione (§ 65). Tuttavia, essa ha sottolineato come la durata eccessiva delle procedure pregiudiziali, unite all’assenza di garanzie compensative, abbiano portato a un disequilibrio inaccettabile tra gli interessi dello Stato e quelli dell’individuo.
La valutazione della Corte di Strasburgo La Corte EDU ha inquadrato la controversia nell’ambito applicativo dell’art. 8 CEDU, richiamando precedenti consolidati (tra gli altri, Mikulić c. Croazia, Jäggi c. Svizzera, Pascaud c. Francia), secondo cui la conoscenza delle proprie origini biologiche è parte integrante del diritto al rispetto della vita privata.
La Corte ha riconosciuto che, in astratto, un sistema che subordina l’accertamento della verità biologica alla rimozione dello status legittimo può essere compatibile con la Convenzione, in considerazione del margine di apprezzamento degli Stati. Tuttavia, essa ha riscontrato che nel caso concreto:
- la durata del procedimento (oltre dodici anni) era eccessiva e priva di strumenti di accelerazione;
- mancava un’adeguata tutela interinale del diritto all’identità personale e ai diritti successori. Non esistono meccanismi che consentano una valutazione anticipata o parallela della verità biologica (§ 66);
- l’azione in ricerca di paternità era stata dichiarata inammissibile senza un esame individuale delle circostanze specifiche;
- lo Stato non aveva adottato misure positive idonee a garantire il rispetto effettivo del diritto al rispetto della vita privata.
Pertanto, la Corte ha ritenuto che l’Italia avesse violato l’art. 8 CEDU,
Durata dei Processi e Art. 8 CEDU
La sentenza S. c. Italia impone all’Italia un ripensamento del modello processuale, per evitare, in futuro ulteriori condanne per il ritardo inconcepibile dei procedimenti.
La sentenza non ha messo in discussione la validità del sistema giuridico italiano in quanto tale, né ha dichiarato che il processo di accertamento della paternità è intrinsecamente illegittimo o erroneo. Il punto centrale della decisione della Corte riguarda la lunghezza e l’incertezza delle procedure, che hanno impedito alla ricorrente di accedere a un rimedio effettivo e tempestivo per accertare la sua identità biologica. Quindi, la Corte ha messo in evidenza un problema di durata e accessibilità dei procedimenti legali, che finisce per violare i diritti fondamentali protetti dalla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo, in particolare l’articolo 8, che tutela la vita privata e familiare.
Analizziamo in dettaglio le motivazioni della Corte:
- Il sistema giuridico italiano non è messo in discussione:
- La Corte riconosce che il sistema giuridico italiano permette il riconoscimento della paternità biologica attraverso una serie di passaggi legali, inclusi il disconoscimento della paternità legale e il successivo accertamento biologico. Il sistema, dunque, non è di per sé incompatibile con i diritti garantiti dalla Convenzione.
- Il problema riguarda la lunghezza dei procedimenti e l’incertezza:
- La Corte critica la lungaggine del procedimento. La ricorrente ha subito un danno significativo non solo perché le è stato impedito di vedere riconosciuto il suo diritto di conoscere la propria identità biologica, ma anche perché l’incertezza giuridica derivante dalla non conclusione della causa di contestazione della paternità legale ha avuto effetti negativi sul suo diritto alla protezione della vita privata.
- Obbligazioni positive dell’Italia:
- Secondo la Corte, l’Italia ha l’obbligo positivo di garantire che i procedimenti legali siano efficaci e tempestivi, e che permettano agli individui di far valere i propri diritti, senza ingiustificabili ritardi. Questo significa che, pur non essendo il sistema giuridico italiano da ritenersi sbagliato, le autorità italiane hanno mancato nel fornire un rimedio tempestivo alla ricorrente, esponendola a una lunga incertezza legale.
- Il legame tra la durata del processo e il diritto alla “vita privata”:
- La Corte ha sottolineato che la durata e l’incertezza del processo inficiano il diritto della ricorrente di conoscere la propria identità biologica. Secondo la giurisprudenza della Corte, il diritto a conoscere la propria identità personale è protetto dall’articolo 8 della Convenzione, e la durata eccessiva dei procedimenti ha impedito alla ricorrente di esercitare tale diritto.
La Corte non ha affermato che il sistema giuridico italiano sia sbagliato, ma ha evidenziato come l’impossibilità di accedere in tempi ragionevoli alla giustizia, unita alla lentezza delle procedure, abbia comportato una violazione dell’articolo 8 della Convenzione. La questione non riguarda la legittimità del sistema, ma la sua applicazione in modo tale da risultare sproporzionata rispetto ai diritti fondamentali della ricorrente.
Bibliografia essenziale
- CEDU, S. c. Italia, ric. n. 55228/20, 6 dicembre 2022
- Corte EDU, Mikulić c. Croatie, n. 53176/99, CEDH 2002-I
- Corte EDU, Pascaud c. France, n. 19535/08, 16 giugno 2011
- Corte cost., sent. n. 192/2022
- Codice civile italiano: artt. 263 e 269
- Codice di procedura civile: art. 295
I principi internazionali che guidano il Diritto