L’ATP EX ART. 696 BIS CPC

L’ATP “bifasico” che non è un giudizio bifasico: l’ordinanza n. 11804/2025 della Cassazione e la corretta qualificazione del procedimento ex art. 8 L. 24/2017

Nel vasto e spesso contorto panorama del contenzioso in ambito sanitario, l’ATP ex art. 696-bis cpc si è rivelato uno strumento giuridico sempre più strategico, non solo per il contenuto tecnico che esso produce, ma per la funzione processuale – e, a tratti, quasi para-processuale – che esso svolge.

Con l’ordinanza n. 11804 del 5 maggio 2025, la Terza Sezione civile della Corte di Cassazione si è pronunciata in sede di regolamento di competenza nell’interesse della legge (ex art. 363, co. 3 c.p.c.), offrendo una lettura sistematica e chiarificatrice del procedimento ex art. 8 della legge Gelli-Bianco (L. 24/2017). La decisione affronta una questione rimasta a lungo ambigua nella prassi e nella dottrina: il rapporto tra ATP conciliativo e successivo giudizio di merito e, soprattutto, se si possa parlare di un procedimento bifasico strutturalmente unitario oppure di due procedimenti distinti.

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L’Accertamento Tecnico Preventivo: uno strumento che parla due lingue

Per capire a fondo la portata dell’ordinanza, occorre fare un passo indietro e ricostruire con precisione cos’è l’ATP ex art. 696-bis c.p.c., quali sono i suoi presupposti e come si innesta nel contenzioso civile, in particolare nella materia della responsabilità sanitaria.

L’ATP, introdotto nel 2005, nasce come strumento volto a favorire la conciliazione tra le parti attraverso una valutazione tecnica anticipata del caso. Non si tratta, quindi, solo di accertare uno stato di fatto (come nell’ATP “classico” ex art. 696 c.p.c.), ma di esaminare, in via preventiva e sommaria, le ragioni del danneggiato, formulando una valutazione sul nesso causale e sul danno lamentato.

È, in sostanza, un meccanismo accelerato e stragiudiziale, ma giurisdizionalmente guidato, che consente alle parti – spesso un paziente e una struttura sanitaria – di giungere ad una soluzione anticipata, evitando l’instaurazione di un lungo giudizio ordinario.

Perché l’ATP sia esperibile:

  • Deve trattarsi di controversia risarcitoria derivante da responsabilità sanitaria;
  • È necessario che il ricorrente formuli una domanda risarcitoria astrattamente fondata su fatti che richiedano una valutazione tecnica (diagnosi, cure, omesse terapie ecc.);
  • È richiesta la non manifesta infondatezza della pretesa e la concreta possibilità di conciliazione tra le parti.

La legge Gelli-Bianco, all’art. 8, ha rafforzato il ricorso all’ATP in materia sanitaria, prevedendone la condizione di procedibilità dell’azione risarcitoria nei confronti dell’esercente la professione sanitaria e delle strutture.

In questo contesto nasce il cosiddetto ATP “conciliativo”, ossia un ATP richiesto non solo per accertare, ma per aprire un tavolo conciliativo con la controparte, il cui fallimento apre le porte al giudizio di merito.

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Giudizio “bifasico” o procedimento duale? La risposta della Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha preso posizione su un tema rimasto in penombra: il rapporto tra il procedimento ex art. 8 L. 24/2017 e il successivo giudizio ex art. 281-undecies c.p.c. (rito semplificato introdotto con la riforma Cartabia).

Il cuore del principio di diritto affermato è il seguente:

«il giudizio regolato dall’art. 8 della legge n. 24/2017 non ha natura di giudizio bifasico strutturalmente unitario ma è composto da due procedimenti distinti (il primo a cognizione sommaria, il secondo a cognizione piena) funzionalmente collegati dalla finalità di anticipazione istruttoria propria dell’istanza di consulenza tecnica preventiva ex art. 696-bis c.p.c.; tale natura, per un verso, esclude che la verifica della competenza debba avvenire già nel procedimento a cognizione sommaria con effetto preclusivo in quello a cognizione piena ed impone, anzi, che la relativa questione sia discussa in seguito all’introduzione della domanda di merito ex art. 281-undecies c.p.c., previa eccezione del convenuto nella comparsa di risposta, se si tratti di questione di competenza territoriale derogabile; per altro verso, stante la “retroazione” degli effetti (non solo sostanziali ma anche processuali) della domanda giudiziale ex art. 281-undecies c.p.c. al deposito del ricorso ex art. 696-bis c.p.c., impone di individuare il momento determinativo della competenza in quello della proposizione dell’istanza di ATP conciliativo, non assumendo rilievo mutamenti successivi della legge o dello stato di fatto anche processuale».

In altri termini, l’ATP e il giudizio di merito non formano un unico processo bifasico, bensì due procedimenti autonomi, seppur tra loro coordinati:

  • L’ATP ha cognizione sommaria, e ha come fine (teorizzato) la conciliazione;
  • Il giudizio di merito ha cognizione piena, e mira alla decisione sulla domanda risarcitoria.

Tre punti fondamentali: competenza, retroazione, tempistica

L’ordinanza tocca tre questioni centrali:

  1. Competenza e sua verifica nel tempo
    Non si può pretendere che la competenza (specie territoriale, se derogabile) venga accertata già nel procedimento sommario dell’ATP. La competenza va discussa nel giudizio di merito, dopo la proposizione della domanda ex art. 281-undecies c.p.c., e solo se sollevata dal convenuto nella comparsa di risposta.
  2. Retroazione degli effetti della domanda giudiziale
    Il momento in cui si propone la domanda giudiziale (cioè il ricorso ex art. 696-bis c.p.c.) determina il foro competente. Questo implica che non rilevano modifiche successive, né di legge né di fatto, che possano alterare i criteri di competenza.
  3. Distinzione netta tra procedimenti
    La Cassazione sgancia l’ATP dal giudizio di merito: non esiste preclusione processuale tra i due. Il primo non vincola il secondo, ma lo alimenta con materiale istruttorio anticipato.

Riflessioni sistematiche: tra funzione conciliativa e valore probatorio

La chiarezza fornita dalla Corte di Cassazione si riflette anche su un piano sistemico. Il rischio, negli ultimi anni, è stato quello di interpretare l’ATP come una fase necessaria e vincolante di un giudizio già in nuce, con effetti giuridici confusi e talvolta paradossali (come la possibilità di discutere l’incompetenza già nella fase preliminare, col rischio di duplicazioni o nullità).

L’ordinanza n. 11804/2025 restaura una corretta sequenza logico-processuale:

  • L’ATP è un procedimento a sé, con funzione tecnico-conciliativa;
  • Il giudizio ex art. 281-undecies è autonomo, ma arricchito dalla perizia dell’ATP;
  • La competenza va cristallizzata al momento dell’istanza ex art. 696-bis;
  • Ogni questione di rito va trattata nella sede propria del giudizio ordinario.

L’ordinanza n. 11804/2025

In un sistema processuale dove il tempo e l’efficienza assumono un ruolo sempre più centrale, chiarire che l’ATP conciliativo non è una fase del giudizio, ma un autonomo procedimento precontenzioso, contribuisce a rafforzare le garanzie difensive e la coerenza della giustizia civile.

Siamo davanti a una decisione che, pur intervenendo nell’interesse della legge, offre solide basi operative a giudici, avvocati e parti, evitando confusione su atti, fori e tempi. E soprattutto, riafferma una lezione fondamentale: anche nella complessità del diritto sanitario, la forma è sostanza, e il processo resta, prima di tutto, uno strumento di equità.

 

quanto affermato nell’ordinanza n. 11804/2025 è molto importante, soprattutto alla luce del rischio, già manifestatosi in giurisprudenza di merito, di assimilare impropriamente l’ATP a una fase embrionale del giudizio di merito.

Sulla natura autonoma dell’ATP EX ART. 696 BIS CPC: chiarezza e funzionalità

Separare nettamente l’ATP dal giudizio è una scelta che rispetta la ratio conciliativa dello strumento, evitando che venga strumentalizzato come “anticamera” processuale per guadagnare tempo o per cristallizzare assetti giuridici ancora fluidi. L’ATP non è una prima fase di un processo, ma un procedimento autonomo con finalità deflattive.

Confondere i due livelli – come spesso si è fatto – crea ambiguità:

  • Sul piano delle preclusioni processuali (cosa posso eccepire e quando?),
  • Sul piano della competenza (chi è il giudice “giusto”?),
  • E anche sul piano probatorio, dove il rischio è di attribuire un valore eccessivo alla consulenza in ATP.

Sulla competenza e la retroazione: una tutela per entrambe le parti

La “retroazione” degli effetti al deposito del ricorso ex art. 696-bis è coerente con l’esigenza di stabilità delle regole del gioco: chi promuove un ATP conciliativo deve sapere quale giudice sarà competente, indipendentemente da eventi successivi (trasferimenti, mutamenti normativi, modifiche territoriali). È una garanzia di certezza e di equilibrio, che tutela non solo il ricorrente ma anche il convenuto.

Inoltre, il chiarimento secondo cui la competenza si discute nel giudizio di merito, su eccezione evita che l’ATP si trasformi in un’arena litigiosa già in fase sommaria, snaturandone il senso.

Valenza sistemica: coerenza con la riforma Cartabia

Il richiamo all’art. 281-undecies c.p.c., e l’armonizzazione tra il procedimento ex art. 696-bis e il nuovo rito semplificato, dimostra che la Cassazione sta cercando di ridisegnare con coerenza la geografia processuale alla luce della riforma Cartabia. In questo senso, la decisione è moderna, consapevole e sistemica.

In sintesi: la pronuncia della Corte ha il merito di ricondurre ordine dove c’era confusione, valorizzando l’ATP per ciò che è – uno strumento deflattivo, tecnico e autonomo – e non per ciò che talvolta è stato usato: un escamotage per anticipare, aggirare o irrigidire il processo.

Pregiudizialità logica, pregiudizialità tecnica e giudicato