La Sussidiarietà dell’Azione di ingiustificato arricchimento

Che cos’è l’Azione di ingiustificato arricchimento?

Analisi dell'Azione di ingiustificato arricchimento e della Sentenza della Cassazione a S.S. 33954, del 05/12/2023

 

Nel cuore del diritto civile si cela un principio di equità che più volte ha dovuto farsi strada tra le pieghe delle norme codicistiche: nessuno può ingiustamente arricchirsi a danno di un altro. Questo assunto, apparentemente semplice e intuitivo, è la base su cui poggia l’azione di arricchimento ingiustificato, disciplinata dagli articoli 2041 e 2042 del Codice civile.

L’articolo 2041 c.c. sancisce un principio chiaro: “Chi si arricchisce senza causa a danno di altri è obbligato a restituire quanto indebitamente ottenuto”. L’azione di arricchimento, quindi, si configura come un rimedio volto a correggere uno squilibrio patrimoniale ingiustificato, laddove non esistano altri titoli giuridici a giustificare quel vantaggio economico. Un rimedio restitutorio mirante a neutralizzare lo squilibrio determinatosi, in conseguenza di diversi atti o fatti giuridici, tra le sfere patrimoniali di due soggetti, nei limiti – per l’appunto – dell’arricchimento che non sia sorretto da una “giusta causa”

La Natura Giuridica dell’Actio Interrogatoria

La parola chiave è “ingiustificato”.

L’arricchimento, infatti, non è di per sé illecito o da sanzionare; può essere legittimo quando fondato su un titolo giuridico valido (ad esempio un contratto o una norma di legge). Solo nel momento in cui questo titolo manca o è invalido, si crea un vuoto normativo che l’azione di arricchimento colma, ristabilendo l’equilibrio.

Diversamente dall’impostazione del diritto romano, il legislatore moderno ha introdotto un rimedio di portata generale, utilizzabile solo in via sussidiaria, come strumento di chiusura dell’ordinamento giuridico. Questo rimedio può essere attivato ogniqualvolta si verifichi un trasferimento patrimoniale a favore di un soggetto e a danno di un altro, privo di una specifica regolamentazione legale che ne giustifichi gli effetti. Tanto nel nostro ordinamento quanto in quello francese, si è registrata inizialmente una certa riluttanza a riconoscere espressamente un’azione di arricchimento senza causa: né il Codice napoleonico né il Codice italiano del 1865 ne facevano menzione. Ciononostante, la giurisprudenza ha progressivamente ammesso tale strumento in via interpretativa, al fine di colmare le lacune lasciate da un sistema che altrimenti avrebbe consentito spostamenti di ricchezza non sorretti da una causa giuridica idonea.

La sua peculiarità però l’ha portata ad essere classificata come un’azione residuale, cioè un rimedio subordinato ad altre tutele. E proprio l’articolo 2042 c.c. stabilisce infatti che

“non si può promuovere l’azione di arricchimento ingiustificato quando esiste una diversa azione che, fondata su un titolo, legittima il ristoro del danno”.

Ciò significa che l’azione di arricchimento è ammissibile solo quando il soggetto impoverito non può agire attraverso altri mezzi (come un’azione contrattuale o extracontrattuale risarcitoria) per ottenere tutela. È un meccanismo di sicurezza giuridica, che interviene a salvaguardia del patrimonio quando tutti gli altri strumenti falliscono o risultano inesistenti.

Parte della dottrina ha, infatti, reputato che il fondamento della clausola di sussidiarietà vada ravvisato nel principio di certezza del diritto, in quanto l’esperimento dell’azione di arricchimento, anche nel caso in cui l’attore sia titolare di azioni alternative, porrebbe in pericolo la generale tenuta del sistema sotto diversi profili.

Elemento soggettivo e oggettivo

Un tratto distintivo dell’azione di arricchimento rispetto alle azioni risarcitorie è l’irrilevanza dell’elemento soggettivo, cioè la volontà o la colpa dell’arricchito. Non importa che l’arricchimento sia avvenuto con dolo o negligenza, né che vi sia stata una violazione di una regola di condotta: è sufficiente che si sia verificato un incremento patrimoniale ingiustificato a danno di un altro soggetto.

Questa caratteristica conferisce all’azione di arricchimento un profilo più oggettivo e meno punitivo, teso non a sanzionare un comportamento illecito ma a ripristinare una situazione di equità patrimoniale.

Il danno e il nesso di causalità

L’azione presuppone la sussistenza di uno “squilibrio” patrimoniale, ossia che l’impoverito abbia subito una diminuzione del proprio patrimonio, mentre l’altro soggetto ha ottenuto un corrispondente aumento. È necessario quindi un collegamento causale diretto tra l’impoverimento e l’arricchimento. Se manca questo nesso, non sussiste il presupposto per agire.

D’altra parte, la misura della restituzione non coincide necessariamente con l’entità del danno in senso risarcitorio (come il “danno emergente” o il “lucro cessante” nel risarcimento del danno), ma si limita all’effettivo incremento patrimoniale conseguito dall’arricchito, evitando così un ingiustificato arricchimento a suo danno.

Differenze con le azioni risarcitorie

Un punto di grande interesse riguarda il confronto con le azioni risarcitorie ex art. 2043 c.c. (responsabilità civile) o contrattuali. Queste ultime richiedono l’esistenza di un danno ingiusto, un comportamento colpevole o illecito e l’onere di provare l’esistenza del danno e del nesso causale.

L’azione di arricchimento, invece, non impone l’onere di dimostrare la colpa o l’illecito, ma soltanto che vi sia stato un arricchimento ingiustificato. Per questo motivo, può configurarsi come strumento di tutela in quei casi in cui non si riesce a far valere con successo una domanda risarcitoria per mancanza dell’elemento soggettivo o per altri motivi di natura probatoria.

Quando e come si può proporre l’azione di arricchimento?

Alla luce della sua natura residuale, la domanda di arricchimento può essere avanzata solo in assenza di una diversa azione che consenta di tutelare il soggetto impoverito. Ciò si traduce nel rispetto rigoroso della regola di sussidiarietà dettata dall’art. 2042 c.c.

Pur con la deroga dettata in relazione all’arricchimento indiretto, la prevalente giurisprudenza ha quindi optato per la soluzione secondo cui anche l’astratta sussistenza di un’altra azione (indipendentemente dal fatto che essa sia stata infruttuosamente esercitata ovvero non sia più esercitabile per prescrizione o decadenza) preclude il ricorso all’azione di arricchimento senza causa

(cfr. ex multis, e senza pretesa di esaustività,  Cass. n. 1473/1960, non massimata; Cass. n. 1278 del 29/05/1962; Cass. n. 1737/1963; Cass. n. 3582/1968; Cass. n. 1073/1974; Cass. n. 1849/1980; Cass. n. 12242/2016; Cass. n. 20528/2017; Cass. n. 8694/2018; Cass. n. 29988/2018; Cass. n. 4909/2023, cui adde Cass. S.U. n. 28042/2008 e Cass. S.U. n. 9531/1996).

Revocazione per Violazione della CEDU

Ma quali sono le concrete condizioni per proporla?

  1. Assenza di un titolo valido a fondamento di una domanda alternativa
    Ad esempio, se esiste un contratto valido e si lamenta una sua violazione, l’azione corretta è quella contrattuale, non l’azione di arricchimento.
  2. Carenza originaria del titolo
    Se il contratto è nullo o invalido fin dall’origine, allora non esiste un titolo giuridico a giustificare l’arricchimento, aprendo la strada all’azione di arricchimento.
  3. Rigetto della domanda principale per carenza della prova del danno
    Se la domanda risarcitoria è rigettata perché manca la prova del danno, ma il titolo (ad esempio un contratto) sussiste, l’azione di arricchimento è invece preclusa, perché esiste un titolo valido.
  4. Non siano intervenuti eventi che precludano la domanda, come prescrizione o decadenza
    La preclusione temporale o altre cause processuali possono impedire l’ammissibilità dell’azione.

L’azione di arricchimento può essere proposta anche in via subordinata, all’interno dello stesso giudizio in cui si coltiva la domanda principale, cosicché il giudice potrà valutare la fondatezza del titolo della domanda principale prima di accedere all’esame della domanda di arricchimento.

Questa struttura consente un’efficiente economia processuale e impedisce dilazioni o duplicazioni di giudizio, tutelando nel contempo il diritto dell’impoverito a un ristoro adeguato.

L’Azione di ingiustificato arricchimento: rimedio residuale o autonomia della domanda?

Tradizionalmente, l’azione di arricchimento ingiustificato è stata inquadrata come azione residuale e sussidiaria, come abbiamo visto,  rispetto ad altre pretese di natura contrattuale, extracontrattuale o legale. Questa impostazione deriva direttamente dal testo dell’articolo 2042 c.c., che chiarisce:

“Non si può promuovere l’azione di arricchimento ingiustificato quando esiste una diversa azione che legittima il ristoro del danno.”

Tuttavia in giurisprudenza si è più volte evidenziato che questa “residualità” non si traduce necessariamente in una mera “subordinazione formale” o in un limite assoluto alla proposizione autonoma dell’azione.

l’Azione Revocatoria

Quando l’azione può essere proposta autonomamente?

Può accadere infatti che:

  • Non esista alcun titolo valido a fondamento di una domanda alternativa. In questo caso, l’impoverito non ha altro strumento per agire se non l’azione di arricchimento, che diventa quindi la domanda principale (e non residuale).
  • Il titolo giuridico alternativo risulti vizio o nullo ab origine. La domanda contrattuale o legale è priva di efficacia e non produce tutela. Qui l’azione di arricchimento emerge come tutela autonoma, diretta e primaria per il ristoro del danno patrimoniale.
  • Si verifichi una situazione di fatto in cui la legge non riconosca altri rimedi risarcitori (ad esempio situazioni non disciplinate da un contratto o da una norma che imponga obblighi specifici).

Il principio di sussidiarietà dell’azione di arricchimento e la sua applicazione in concreto: distinzione tra rigetto “in astratto” e “nel merito” della domanda principale

C’è una questione cruciale da affrontare però:

quando è possibile proporre l’azione di arricchimento senza causa (art. 2041 c.c.) in via sussidiaria rispetto ad altra azione “tipica”?

E soprattutto, cosa accade se tale azione tipica è stata già esercitata, ma respinta? La risposta giurisprudenziale si è evoluta in modo raffinato e articolato.

La regola di sussidiarietà in astratto (art. 2042 c.c.)

L’art. 2042 c.c. dispone che l’azione di arricchimento può essere esperita solo quando il pregiudizio patrimoniale non sia altrimenti evitabile mediante un’altra azione prevista dall’ordinamento. Questo esprime un principio di sussidiarietà astratta, in base al quale l’azione è esclusa ogniqualvolta esista, anche solo teoricamente, un’altra azione utile.

Tuttavia, questa impostazione astratta può rivelarsi eccessivamente rigida, soprattutto nei casi in cui l’azione principale sia stata esercitata ma respinta per ragioni sostanziali, come la nullità del contratto, l’inesistenza del titolo, o la non riconducibilità della fattispecie concreta alla figura giuridica astratta invocata.

Discrimen tra rigetto “per mancanza di prova” e rigetto “per insussistenza giuridica”

La giurisprudenza – come evidenziano le sentenze Cass. n. 4398/1979, n. 3228/1995, n. 29988/2018 – ha elaborato una distinzione:

Se l’azione principale è rigettata per carenza probatoria (es. non si dimostra il contratto, la prestazione, il danno, ecc.), l’azione di arricchimento resta inammissibile: in teoria il rimedio esisteva, e il fatto che non sia stato provato non giustifica il ricorso all’art. 2041 c.c.
La sussidiarietà opera pienamente.

Se invece l’azione principale è rigettata “in astratto”, ossia per insussistenza giuridica della pretesa, perché la fattispecie concreta non si può ricondurre a nessuna figura giuridica tipica (es. contratto nullo, inesistenza di un rapporto lavorativo o associativo), allora l’azione di arricchimento può essere proposta.
La sussidiarietà è temperata, perché non vi era realmente un altro rimedio praticabile.

Questo è il punto focale: non basta che un’azione astrattamente esista, ma occorre che sia concretamente utile ed esperibile in relazione al caso concreto.

Applicazione giurisprudenziale: nullità del contratto e mancanza del titolo

Numerose sentenze (Cass. n. 3682/1981, n. 4275/1983, n. 7136/1996, n. 2350/2017) hanno ammesso l’azione ex art. 2041 c.c. quando la domanda principale fondata su un contratto è stata rigettata per nullità del contratto stesso, specie nei rapporti con la P.A. (per es., per mancanza della delibera autorizzativa). In questi casi, non si è in presenza di una “perdita colpevole” del rimedio, ma di una carenza originaria del titolo giuridico, e quindi l’arricchimento risulta davvero “ingiustificato”.

Cass. S.U. n. 22404/2018 ha inoltre stabilito che la domanda di arricchimento può essere proposta in via subordinata nella prima memoria ex art. 183, co. 6, c.p.c., quando riguarda la stessa vicenda sostanziale, anche se fondata su un diverso titolo.

Prescrizione o decadenza: irrilevanza dell’arricchimento

Un’eccezione importante: quando l’azione principale è divenuta improponibile per prescrizione o decadenza, non è consentito “riesumare” la pretesa con l’art. 2041 c.c. (Cass. n. 1125/1955; Cass. n. 2318/1987; Cass. n. 30614/2018; Cass. n. 29916/2011). La perdita colpevole del diritto (non esercitato nei termini di legge) non legittima il ricorso al rimedio residuale, pena l’elusione dell’efficacia delle norme sulla prescrizione.

Cass. S.U. n. 13203/2023 ribadisce: non è ammissibile l’azione di arricchimento se la nullità del contratto dipende da illiceità (es. contratti contrari a norme imperative o all’ordine pubblico).

L’ATP EX ART. 696 BIS CPC

L’approdo delle Sezioni Unite 33954, del 05/12/2023: chiarezza sistematica e composizione dei contrasti

Il quadro appena ricostruito evidenzia come, pur in presenza di numerosi interventi giurisprudenziali, il principio di sussidiarietà dell’azione di ingiustificato arricchimento abbia conosciuto applicazioni disomogenee e in parte contraddittorie, soprattutto nei casi in cui l’azione principale sia stata esercitata ma rigettata. In particolare, permaneva incertezza su due fronti cruciali:

  • Se l’esistenza astratta di un’azione tipica (anche inutilizzabile in concreto) fosse comunque ostativa all’azione di arricchimento;
  • Se e quando potesse ritenersi colpevole la perdita del rimedio principale (per prescrizione, decadenza, o scelta processuale).

Tale frammentazione interpretativa ha reso necessario un intervento chiarificatore delle Sezioni Unite, che hanno inteso ricondurre a unità e coerenza sistematica l’intera materia, fornendo un criterio dirimente e, soprattutto, una lettura conforme al ruolo dell’art. 2041 c.c. come rimedio eccezionale e residuale.

In questa prospettiva, la Corte ha:

  • Ribadito la natura rigorosamente sussidiaria dell’azione di arricchimento, da valutarsi non solo in astratto ma anche in concreto, con attenzione alla possibilità effettiva e non colpevole di esercizio dell’azione tipica;
  • Chiarito che non è consentito utilizzare l’azione di arricchimento come surrogato di un rimedio tipico perso per inerzia o per scelta strategica processuale, in quanto ciò vanificherebbe la funzione di chiusura e l’equilibrio dell’ordinamento;
  • Specificato che l’azione è ammissibile solo quando il fatto generatore dell’impoverimento non sia riconducibile ad alcuna fattispecie tipica di obbligazione o responsabilità prevista dall’ordinamento, e quindi non vi sia, già ab origine, alcun rimedio giuridico concretamente esperibile.

L’intervento delle Sezioni Unite, quindi, non solo consolida la distinzione tra rigetto “per insussistenza giuridica” e rigetto “per mancanza di prova”, già emersa in alcune pronunce, ma ne formalizza la portata sistematica, impedendo derive creative e garantendo certezza giuridica e coerenza tra norme, rimedi e responsabilità.

La massima stabilita nella sentenza risponde al quesito interpretativo posto con l’ordinanza interlocutoria che ha richiesto alle Sezioni Unite di chiarire il significato e l’ambito di applicazione del principio di sussidiarietà dell’azione di arricchimento senza causa ex art. 2042 c.c., in particolare:

Domanda alla quale la massima risponde:

“È proponibile l’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. qualora l’azione principale (es. contrattuale o risarcitoria) sia stata rigettata? In particolare, anche se la domanda principale sia stata respinta per prescrizione, decadenza o per infondatezza nel merito?”

Risposta delle Sezioni Unite (cioè, la massima):

L’azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c. è preclusa quando l’azione principale è andata persa per fatto imputabile all’impoverito, come nei casi di prescrizione o decadenza, oppure se è stata coltivata ma infondata per difetto di prova.

Tuttavia, l’azione è ammissibile se l’azione principale è stata respinta perché la fattispecie concreta è “a priori insussistente” (es: contratto nullo per mancanza di requisiti formali o inesistenza del titolo contrattuale). In tal caso, l’arricchimento diventa azionabile perché non c’è un rimedio principale realmente esperibile.

“Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo. Viceversa, resta preclusa nel caso in cui il rigetto della domanda alternativa derivi da prescrizione o decadenza del diritto azionato, ovvero nel caso in cui discenda dalla carenza di prova circa l’esistenza del pregiudizio subito, ovvero in caso di nullità del titolo contrattuale, ove la nullità derivi dall’illiceità del contratto per contrasto con norme imperative o con l’ordine pubblico.”

Il principio di diritto affermato

Nel principio di diritto affermato si legge:

“Ai fini della verifica del rispetto della regola di sussidiarietà di cui all’art. 2042 c.c., la domanda di arricchimento è proponibile ove la diversa azione, fondata sul contratto, su legge ovvero su clausole generali, si riveli carente ab origine del titolo giustificativo.”

Questo vuol dire che la domanda di arricchimento può essere proposta autonomamente e sia ammissibile fin da subito, se risulta che:

  • La domanda basata sul contratto o altra fonte legale è viziata o inesistente (nullità, mancanza degli elementi costitutivi).

Viceversa, la domanda di arricchimento sarà preclusa se il rigetto della domanda alternativa deriva da:

  • Prescrizione o decadenza del diritto (momenti processuali e temporali).
  • Mancanza di prova del pregiudizio (anche se il titolo esiste).
  • Nullità del titolo contrattuale derivante da illecito o contrasto con norme imperative o ordine pubblico.

In sintesi

L’azione di arricchimento non è un rimedio residuale in senso assoluto e rigido, ma sussidiario nel senso che può essere proposta solo quando mancano titoli validi a fondamento di altre azioni. Può quindi assumere anche una natura autonoma, rappresentando l’unica tutela esperibile per il soggetto impoverito.

Questa impostazione bilancia:

  • Il principio di certezza del diritto (evitando conflitti e sovrapposizioni di domande).
  • Il principio di equità (tutelando chi subisce un danno patrimoniale senza tutela altrimenti).

 

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