Restituzione somme tra fidanzati

Il senso dell’equità tra amore e diritto: obbligazioni naturali, arricchimento senza causa e convivenza more uxorio secondo la Cassazione

Di Avvocato Leandro Grasso

Nel delicato crocevia tra affetti e diritti, tra il vivere insieme e il rendere conto del dare e dell’avere, si inserisce l’ordinanza della Corte di Cassazione che torna a pronunciarsi su un tema che attraversa silenziosamente le vite di migliaia di persone: le attribuzioni patrimoniali tra conviventi more uxorio, la loro natura giuridica e i limiti del diritto alla restituzione. Come e quando è possibile chiedere la restituzione delle somme tra fidanzati, o meglio ex fidanzati.

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L’ordinanza oggetto del nostro esame – pur nella sua forma interlocutoria – è un piccolo trattato sull’equilibrio tra solidarietà affettiva e tutela patrimoniale, tra l’obbligazione naturale ex art. 2034 c.c. e l’arricchimento senza causa ex art. 2041 c.c.

Il cuore della questione: l’amore non è (sempre) gratuito

I fatti da cui prende le mosse il giudizio sono noti: un uomo, operaio, ha convissuto per tre anni con la propria compagna, durante i quali ha sostenuto integralmente il pagamento delle rate del mutuo relativo all’abitazione in cui entrambi vivevano. Una volta terminata la relazione, ha chiesto la restituzione delle somme versate (24.000 euro in tutto), invocando l’ingiusto arricchimento della ex compagna.

La Corte d’Appello ha respinto la domanda, ritenendo che tali versamenti costituissero adempimento di un’obbligazione naturale, e quindi non ripetibili. La Cassazione conferma.

Obbligazione naturale e convivenza: il contesto giuridico

Il primo passaggio dell’ordinanza della Suprema Corte è di natura sistematica: si chiarisce che l’azione generale di arricchimento senza causa ha natura sussidiaria, ed è esperibile solo laddove manchi un’altra giustificazione giuridica dell’attribuzione patrimoniale.

Vengono ribaditi tre concetti fondamentali:

  1. L’arricchimento deve essere privo di giusta causa: non è tale se trova giustificazione in un contratto, in un atto di liberalità, nell’adempimento di un’obbligazione naturale o in una prestazione dovuta.
  2. La nozione di arricchimento è ampia: comprende incrementi patrimoniali, risparmi di spesa, ma anche mancate perdite.
  3. L’indennizzo da arricchimento è limitato al valore dell’effettivo vantaggio ottenuto, onde evitare un arricchimento “a parti invertite”.

E qui si innesta la nozione chiave: durante una convivenza stabile, molte attribuzioni patrimoniali rispondono a doveri morali e sociali, non giuridicamente coattivi ma riconosciuti dalla coscienza sociale.

La convivenza more uxorio è una “formazione sociale” ex art. 2 Cost. e produce obbligazioni di fatto che rientrano nella sfera dell’obbligazione naturale. Tra queste: l’assistenza reciproca, il contributo alla vita comune, l’aiuto economico. Quindi i versamenti di denaro tra un partner e l’altro sono da ricondursi ad una forma di collaborazione e di assistenza morale e materiale, che si reputa doverosa nell’ambito di un consolidato rapporto affettivo (Cass. n. 3713/2003, Cass. n. 11303/2020).

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Il limite invisibile: la proporzionalità

Non tutto, però, può essere ricondotto al dovere morale.

La Corte distingue con attenzione: un convivente può agire per arricchimento senza causa qualora le sue prestazioni trascendano i normali doveri morali e sociali del rapporto di coppia, risultando sproporzionate o inadeguate rispetto alla sua condizione patrimoniale.

Ecco perché la Cassazione pone un doppio filtro:

  • Oggettivo: si guarda alla proporzionalità e adeguatezza dell’attribuzione rispetto alla situazione patrimoniale delle parti.
  • Soggettivo: è il giudice di merito a dover valutare caso per caso, secondo criteri non censurabili in sede di legittimità.

Nel caso concreto, i versamenti (666 euro al mese) sono stati giudicati non eccedenti quanto normalmente dovuto a titolo di canone locativo. In altre parole: pagare il mutuo è stato l’equivalente di pagare l’affitto per sé e per la propria compagna, cosa normalmente attesa in una relazione affettiva consolidata.

La corte di merito non aveva soltanto qualificato i versamenti effettuati come adempimenti di obbligazioni naturali ex art. 2034 c.c., in quanto eseguiti nell’ambito di una convivenza more uxorio consolidata, ma ha anche compiuto una non implausibile valutazione di proporzionalità e di adeguatezza, richiesta dalla giurisprudenza della Corte e rimessa all’esclusivo apprezzamento del giudice di merito.

La cassazione, quindi, ribadisce il principio per cui l’attribuzione patrimoniale a favore del convivente more uxorio configura l’adempimento di un’obbligazione naturale, sempre che il giudice di merito, ad esito di un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità, abbia ritenuto che l’attribuzione medesima sia adeguata alle circostanze e proporzionata all’entità del patrimonio e alle condizioni sociali del solvens (e, dunque, non travalichi i limiti di proporzionalità e di adeguatezza).

Una giurisprudenza in chiaroscuro: quando l’arricchimento è ingiusto

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La Sussidiarietà dell’Azione di ingiustificato arricchimento

Se nel caso oggetto dell’ordinanza in commento la Corte ha ritenuto che le somme versate dal convivente costituissero l’adempimento di un dovere morale e sociale non ripetibile, esistono, tuttavia, pronunce di segno opposto in cui l’attribuzione patrimoniale è stata invece giudicata eccedente i doveri solidaristici del rapporto affettivo, sfociando in un arricchimento ingiustificato ai sensi dell’art. 2041 c.c.

Si pensi, ad esempio, alla sentenza n. 21479 del 31 settembre 2018 (Cassazione civile), in cui la Suprema Corte ha affrontato il caso di un ex convivente che, nel corso di una relazione breve, aveva sostenuto ingenti spese per migliorare l’immobile di esclusiva proprietà dell’altro. In quel caso, i giudici hanno riconosciuto la sussistenza dei presupposti dell’azione generale di ingiustificato arricchimento: assenza di giusta causa dell’attribuzione, unicità del fatto causativo dell’impoverimento e, soprattutto, mancanza di altri rimedi restitutori o contrattuali.

La Corte ha dato particolare rilievo:

  • alla breve durata della convivenza,
  • alla modesta condizione economica del soggetto che aveva sostenuto le spese,
  • e al fatto che tali spese non rientravano tra quelle “necessarie alla quotidiana convivenza”, ma avevano determinato un apprezzabile aumento di valore dell’immobile di proprietà esclusiva dell’altro partner.

In quel contesto, il mancato ristoro delle somme versate avrebbe determinato un arricchimento iniquo e non giustificabile in base ai doveri morali della convivenza, proprio perché le prestazioni effettuate superavano il limite della proporzionalità e adeguatezza tracciato dalla giurisprudenza.

A ulteriore conferma della correttezza della decisione, la Corte ha richiamato le Sezioni Unite n. 24772/2008, le quali hanno delineato in modo rigoroso i due presupposti fondanti l’art. 2041 c.c.:
a) l’inesistenza di un’azione tipica da esercitare in giudizio;
b) l’unicità del fatto causativo dell’impoverimento, che deve essere direttamente riconducibile all’arricchito, con esclusione delle situazioni di arricchimento indiretto.

Questo esempio dimostra che il confine tra obbligazione naturale e arricchimento ingiustificato è mobile e dipendente dal contesto di fatto, e che la giurisprudenza di legittimità si muove con attenzione nel valutare la qualità, l’entità e le circostanze delle attribuzioni patrimoniali tra conviventi.

 

Il rilievo probatorio: l’onere della prova e il “non detto”

Il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata considerazione degli estratti conto che avrebbero dimostrato l’esclusività del reddito del convivente, viene dichiarato inammissibile.

La Cassazione, qui, coglie un punto delicatissimo del processo civile: la corretta deduzione e allegazione probatoria.

Infatti, la corte di merito ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito prova adeguata del fatto che il proprio stipendio fosse l’unico reddito della coppia. Gli estratti conto, da soli, non bastano: mancavano documenti fiscali che ne attestassero il carattere esclusivo.

Questo passaggio è prezioso anche per l’operatore del diritto: ci ricorda che la verità processuale è figlia della prova, e che le affermazioni difensive vanno sempre corroborate da elementi oggettivi e compiuti.

Conclusione: quando il diritto riconosce l’amore, ma non lo monetizza

La decisione della Cassazione non spegne il dibattito, ma lo orienta con lucidità. Ci dice, in fondo, che non ogni spesa fatta per amore è recuperabile per diritto.

La relazione affettiva, nella sua informalità, genera obbligazioni non giuridiche ma socialmente riconosciute, e solo quando queste degenerano in squilibrio economico manifesto si apre la porta alla tutela restitutoria.

Così, il diritto non sconfessa l’amore, ma ne disegna con prudenza i contorni: perché anche la generosità ha i suoi limiti – non solo morali, ma anche giuridici.

Riferimenti giurisprudenziali:

  • Cass. civ., sez. III, 29 maggio 2018, n. 14732
  • Cass. civ., sez. III, 10 giugno 2020, n. 11303
  • Cass. civ., sez. III, 13 marzo 2003, n. 3713

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