Il diritto all’oblio: libertà, memoria e algoritmi

Cosa significa, oggi, essere dimenticati? In un mondo in cui l’informazione non si deposita su carta ma si replica all’infinito sui server globali, il diritto all’oblio emerge come una delle più complesse e affascinanti sfide del diritto contemporaneo.

Un diritto nato dall’autodeterminazione informativa

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Autodeterminazione Informativa

Il diritto all’oblio trova le sue radici nel principio, più ampio, dell’autodeterminazione informativa: il diritto dell’individuo a conoscere e controllare l’uso dei propri dati personali. Questo principio, già affermato dalla Corte Costituzionale tedesca nel 1983 (sentenza del Volkszählungsurteil), fu fondato sul rispetto di due libertà fondamentali garantite dal Grundgesetz (GG): il diritto al libero sviluppo della propria personalità (allgemeines Persönlichkeitsrecht), ex art. 2, Abs. 1, e l’intangibilità della dignità dell’uomo (Menschenwürde), art. 1, Abs. 1. Questo principio è stato successivamente recepito nel contesto europeo e normato compiutamente con il Regolamento (UE) 2016/679 (GDPR), che all’articolo 17 disciplina esplicitamente il “diritto alla cancellazione”.

Ma già prima del GDPR, fu la storica sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), C-131/12, Google Spain vs AEPD e Mario Costeja González (2014), a porre le basi per il riconoscimento di questo diritto. La Corte stabilì che un motore di ricerca è responsabile del trattamento dei dati personali indicizzati e può essere obbligato a rimuovere i link a contenuti non più pertinenti, anche se presenti su siti legittimi.

Google Spain SL e Google Inc. contro AEPD

Diritto all’oblio vs diritto di cronaca

Il diritto all’oblio non è un diritto assoluto. Deve essere costantemente bilanciato con il diritto all’informazione, alla libertà di stampa e alla memoria collettiva. L’articolo 17 del GDPR stesso prevede diverse eccezioni: quando il trattamento è necessario per l’esercizio della libertà di espressione, per adempiere a un obbligo legale o per motivi di interesse pubblico.

In Italia, la Cassazione civile, sez. I, sentenza n. 13161/2016 ha stabilito che è lecito rimuovere dai motori di ricerca un articolo di stampa se, pur veritiero, è divenuto obsoleto e lesivo della reputazione della persona. Sarà il giudice, in questi casi, a dover valutare la proporzionalità tra l’interesse pubblico alla permanenza della notizia e il tempo trascorso, nonché la sua rilevanza rispetto all’attuale vita privata e professionale della persona coinvolta.

La giurisprudenza italiana più recente (Cass. civ. sez. I, sentenza n. 3952/2021) ha ribadito che è legittima la deindicizzazione quando l’interesse pubblico all’informazione viene meno, ad esempio nel caso di fatti di cronaca risalenti, privi di attualità e senza rilievo pubblico persistente.

La complessità tecnica e giuridica del diritto all’oblio

Nel contesto digitale, il diritto all’oblio è particolarmente delicato per una ragione fondamentale: ciò che entra in rete tende a non uscirne mai.

La rimozione di un contenuto da un motore di ricerca non comporta la cancellazione del contenuto stesso dal web, ma solo la sua “deindicizzazione”. Il contenuto rimane, ma diventa meno accessibile. Tuttavia, tra backup, mirror, archiviazioni e condivisioni social, la portata effettiva di questo diritto è spesso limitata. In casi particolari, tuttavia, l’interessato può richiedere anche la cancellazione totale del contenuto, laddove ne sussistano i presupposti giuridici — come nel caso di trattamenti illeciti o dati non più necessari rispetto alle finalità per cui erano stati raccolti — ai sensi dell’art. 17 del GDPR. Tuttavia, anche in tali ipotesi, la concreta rimozione può scontrarsi con limiti tecnici o giurisdizionali, soprattutto quando i dati sono replicati su server localizzati fuori dall’Unione Europea.

Inoltre, spetta ai provider, in particolare ai motori di ricerca, valutare le richieste di deindicizzazione: Google riceve ogni anno centinaia di migliaia di richieste. La valutazione non è automatica: occorre ponderare l’interesse del richiedente con quello della collettività.

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Chi decide cosa dimenticare

La funzione giurisdizionale, in questa materia, si sposta parzialmente verso i soggetti privati che gestiscono piattaforme e motori di ricerca. Una responsabilità enorme, che spesso solleva interrogativi su trasparenza, coerenza e legittimità delle decisioni.

In Europa, gli utenti possono ricorrere all’autorità di controllo nazionale (in Italia, il Garante per la protezione dei dati personali) o all’autorità giudiziaria per ottenere tutela. Ma i tempi sono lunghi, e nel frattempo, la notizia continua a vivere online.

Evoluzione (o involuzione) del diritto all’oblio

Nel prossimo futuro, il diritto all’oblio dovrà confrontarsi con almeno tre grandi sfide:

  1. L’intelligenza artificiale e gli archivi algoritmici, capaci di aggregare e profilare dati da fonti multiple, anche non pubbliche.
  2. La blockchain e i registri immutabili, che rendono la cancellazione tecnica quasi impossibile.
  3. La globalizzazione dell’informazione, con contenuti che migrano oltre le giurisdizioni nazionali e sfuggono a qualsiasi controllo centralizzato.

A queste si aggiunge una riflessione giuridica e filosofica:

esiste ancora il diritto di scomparire, o dobbiamo ripensare il modo in cui ricordiamo?

Alcuni studiosi e giuristi propongono infatti una transizione dal “diritto all’oblio” al “diritto alla contestualizzazione”: non più cancellare, ma spiegare, aggiornare, dare contesto a ciò che è stato. Questo approccio promuove una memoria dinamica e responsabile, che tenga conto del tempo trascorso, dell’evoluzione personale e della funzione sociale dell’informazione.

Il diritto all’oblio, quindi, potrebbe non scomparire, ma trasformarsi. Da uno strumento di rimozione a uno strumento di riequilibrio narrativo.

La sfida per il legislatore e per i giudici sarà quella di coniugare le esigenze della dignità individuale con quelle della memoria collettiva, in un ecosistema digitale sempre più complesso e interconnesso.

Nel prossimo futuro, il diritto all’oblio dovrà confrontarsi con almeno tre grandi sfide:

  1. L’intelligenza artificiale e gli archivi algoritmici, capaci di aggregare e profilare dati da fonti multiple, anche non pubbliche.
  2. La blockchain e i registri immutabili, che rendono la cancellazione tecnica quasi impossibile.
  3. La globalizzazione dell’informazione, con contenuti che migrano oltre le giurisdizioni nazionali e sfuggono a qualsiasi controllo centralizzato.

A fronte di ciò, alcuni studiosi parlano di una necessaria transizione dal “diritto all’oblio” al “diritto alla contestualizzazione”: non più cancellare, ma spiegare, aggiornare, inquadrare il dato nel tempo e nello spazio. Una memoria, insomma, che non sia più sentenza perpetua.

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E se a voler scomparire è un cittadino qualunque?

Non sempre il diritto all’oblio nasce da un conflitto tra cronaca e reputazione. Sempre più spesso, a chiederlo sono persone comuni, senza alcun passato controverso né esposizione pubblica, che semplicemente desiderano revocare il proprio consenso digitale, ritirarsi dalla sovraesposizione e recuperare una forma di anonimato.

Ai sensi dell’articolo 17 del GDPR, chiunque ha diritto a ottenere dal titolare del trattamento la cancellazione dei propri dati personali, senza ingiustificato ritardo, quando ricorra uno dei seguenti motivi:

  • i dati non sono più necessari rispetto alle finalità per cui erano stati raccolti;
  • l’interessato revoca il consenso e non sussiste altro fondamento giuridico per il trattamento;
  • i dati sono stati trattati illecitamente;
  • devono essere cancellati per adempiere un obbligo legale;
  • l’interessato si oppone al trattamento e non sussistono motivi legittimi prevalenti.

Tuttavia, questa cancellazione riguarda solo i dati personali forniti volontariamente (account, profili social, forum, newsletter, etc.). N

on riguarda le informazioni archiviate da terzi per finalità giornalistiche, giudiziarie o di pubblico interesse, salvo i casi già discussi. Inoltre, la rimozione effettiva può essere ostacolata da:

  • la conservazione obbligatoria per legge (es. obblighi fiscali o sanitari);
  • backup aziendali o mirror server;
  • l’impossibilità tecnica di intervenire su archivi decentralizzati o distribuiti (blockchain, peer-to-peer, ecc.).

Infine, la richiesta va presentata direttamente ai titolari del trattamento (es. piattaforme, servizi online, provider), i quali devono rispondere entro 30 giorni. In caso di mancato riscontro, è possibile rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali o, nei casi più gravi, all’autorità giudiziaria.

In definitiva, anche se il desiderio di sparire dal web è legittimo, la cancellazione totale è più un ideale che una garanzia assoluta. L’“effetto rete” e la natura pervasiva dei dati digitali rendono questa aspirazione un percorso complesso, che richiede consapevolezza, determinazione e assistenza qualificata.

 

Il diritto all’oblio è una conquista fragile. Non tutela la verità, ma protegge la dignità; non cancella la storia, ma modera la sua esposizione. In un tempo in cui tutto si conserva, talvolta dimenticare è un atto di giustizia.

 

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