“Il diritto non può solo punire, deve anche insegnare”. Questo pensiero, semplice ma profondo, è il punto di partenza per indagare una dimensione del diritto spesso ignorata: la sua funzione pedagogica. Per capirla davvero, bisogna partire da una parola tanto antica quanto potente: pedagogia.
Che cos’è la pedagogia?
Il termine “pedagogia” deriva dal greco antico país (bambino) e agōgós (colui che conduce). Il paidagogós era lo schiavo incaricato di accompagnare il fanciullo a scuola, ma con il tempo la parola ha assunto un significato più ampio: l’arte, la scienza e la pratica dell’educazione.
Pedagogia oggi significa formare, orientare, trasmettere valori e conoscenze, non solo a bambini ma a ogni cittadino. Ed è proprio qui che il diritto incontra la pedagogia: non come materia da studiare, ma come soggetto attivo di formazione civica e morale.
Cosa significa “funzione pedagogica del diritto”?
La funzione pedagogica del diritto si riferisce alla capacità delle norme giuridiche di educare la società, orientandone i comportamenti, i valori e la coscienza civile. Non si tratta solo di proibire e punire, ma di insegnare cosa è giusto, promuovere modelli positivi di convivenza, e costruire senso civico.
La legge che punisce il razzismo, ad esempio, non è solo uno strumento repressivo: è anche un messaggio pubblico, un’affermazione di principi. Il diritto, così, diventa anche un discorso educativo, che guida, forma, costruisce. In questo senso, la funzione pedagogica del diritto si intreccia profondamente con quella preventiva della pena: non si tratta solo di intervenire dopo il fatto compiuto, come spesso accade nel diritto penale, ma di agire prima, attraverso la comprensione e l’assimilazione sociale del valore della norma. Se il diritto non viene spiegato, comunicato, interiorizzato, non può prevenire ciò che reprime. La prevenzione efficace nasce da una cittadinanza consapevole, non solo dal timore della sanzione.
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Anche la giurisprudenza educa?
Sì, anche la giurisprudenza può avere una funzione pedagogica, sebbene indiretta. Quando un giudice scrive una sentenza che valorizza i diritti umani, che interpreta in senso progressivo una norma, o che condanna un comportamento antisociale, sta anche educando la collettività.
La giurisprudenza, in particolare quella costituzionale o delle corti sovranazionali, svolge spesso un ruolo di maestra civica: chiarisce valori, riscrive i confini del lecito e dell’illecito, orienta la cultura giuridica e sociale. Molte trasformazioni sociali non nascono direttamente dalle leggi, ma da sentenze e battaglie legali che spingono la società a evolversi. Così la giurisprudenza diventa un agente attivo di cambiamento, oltre che interprete del diritto. Infatti in presenza di un legislatore fragile e debole determinate evoluzioni sociali sono state devolute alle corti, il passo successivo sarebbe quello di far assimilare i concetti riportati nelle sentenze ai cittadini.
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È una funzione codificata?
La funzione pedagogica del diritto non è quasi mai esplicitamente codificata, ma è implicita in molte norme fondamentali:
In Italia gli Art. 2 e 3 della Costituzione: promuovono il rispetto della persona e l’uguaglianza sostanziale, che implicano un processo educativo collettivo. Basterebbe leggere i due articoli per comprendere il messaggio sociale e culturale che mandano. Anche la Legge 92/2019: introduce l’educazione civica nelle scuole, riaffermando il ruolo del diritto nella formazione.
A livello internazionale, invece, abbiamo molti più esempi anche se meno efficaci, in termini linguistici, della nostra costituzione. La Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia (art. 29) prevede che l’educazione deve preparare il bambino “alla vita responsabile in una società libera”. La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo in molte sentenze valorizza principi di tolleranza, pluralismo e democrazia, rafforzando la funzione educativa delle norme. L’Agenda ONU 2030 (Obiettivo 16): promuove società pacifiche e giuste attraverso l’educazione giuridica e l’accesso alla giustizia.
Come dovrebbe esplicarsi concretamente questa teorizzata funzione?
Affinché la funzione pedagogica del diritto non resti un concetto astratto, essa deve trovare concretezza in diversi ambiti che riguardano tanto il contenuto quanto la forma e la diffusione della norma giuridica. Le leggi, per esempio, dovrebbero andare oltre il semplice divieto o la sanzione: dovrebbero affermare con chiarezza valori positivi, fungendo da guida per la società e non solo da freno ai comportamenti devianti.
Non si può sottovalutare l’importanza della giurisprudenza in questo processo. I giudici, con le loro sentenze, hanno il potere non solo di applicare la legge, ma di interpretarla e adattarla ai tempi, rendendo più comprensibili le norme e avvicinandole ai cittadini. Quando un tribunale chiarisce i diritti fondamentali o valorizza principi di uguaglianza e libertà, non sta solo risolvendo un caso concreto, ma educando la collettività a nuovi orizzonti di giustizia.
La lingua con cui il diritto si esprime è un altro terreno decisivo. Il diritto è una scienza e ha il suo linguaggio che non può essere semplificato o mutato. Tuttavia si potrebbe provare a semplificare i concetti più importanti a fini pedagogici. Infatti, soprattutto nel mondo odierno dove la cultura è in rapida picchiata un linguaggio tecnico, arcano e autoreferenziale allontana il cittadino comune, generando distanza e incomprensione; spesso panico. Al contrario, un diritto che parla una lingua accessibile, che racconta storie e spiega i perché, diventa uno strumento di inclusione e partecipazione democratica, anche se ciò sacrificherà molti aspetti chiave della norma.
La scuola, quel posto che oggi è visto come luogo di formazione degli operai del futuro, rappresenta infine il luogo privilegiato dove la funzione pedagogica può (potrebbe) prendere radici profonde. Un’educazione civica che sia più di un mero insegnamento formale, che stimoli la curiosità, il pensiero critico e la responsabilità, può trasformare il modo in cui una generazione intera si rapporta al diritto e alla convivenza.
E infine, la comunicazione istituzionale e pubblica non può limitarsi a trasmettere norme o propaganda: deve tradurre il diritto in cultura, costruendo ponti tra la legge e la vita quotidiana, tra la norma e l’esperienza del cittadino. Solo così la funzione educativa del diritto può diventare reale e incisiva. Tuttavia con cittadini coscienti di sé e del mondo la maggioranza dei dibattiti e delle promesse politiche perderebbero di senso.
è solo l’ennesima teoria New Age!
No, non proprio, per niente. Non è l’ennesima invenzione moderna. Già nell’Illuminismo, periodo storico che ci ha regalato la nostra moderna libertà di dire anche cazz**e, filosofi e giuristi come Beccaria e Rousseau teorizzavano un diritto che formasse la morale pubblica, non solo che punisse. Il diritto era visto come strumento per emancipare, per rendere liberi attraverso la legge. Non punire e solo punire, ma educare. Vedi Carrara. Oggi, quella visione torna urgente. In una società disorientata, polarizzata e sfiduciata, il diritto può tornare ad essere un maestro laico, una guida collettiva. Sempre se il cittadino impari a leggere prima, o ancora meglio ad ascoltare.
Gli ostacoli attuali
Nonostante il suo potenziale, oggi la funzione pedagogica del diritto è una teoria messa a dura prova. Analfabetismo funzionale e povertà civica sono certamente i pilastri delle barriere culturali. Molti cittadini non sono in grado di comprendere testi complessi, incluse le leggi. È un problema di alfabetizzazione, ma anche di disinteresse o sfiducia verso il discorso giuridico o verso tutto ciò che può anche solo lontanamente sembrare cultura o un’idea contraria alla propria.
Il secondo pilastro che acquista sempre più potere, nonché probabilmente da cui nasce l’analfabetismo è la cultura della semplificazione e del clickbait. La comunicazione giuridica, sui social e nei media, è spesso ridotta a slogan. Il diritto viene banalizzato, trasformato in strumento polemico o ideologico. Misinformazione, disinformazione, pubblicità personali sbandierate come informazione. Giornali poco attratti dalla qualità del “pezzo”, ma più dalla quantità di click hanno distrutto la capacità critica dell’utente medio.
Debolezza dell’istruzione civica e dell’istruzione in generale sono un altro enorme ostacolo. Ad oggi l’ora di religione, la storia e l‘educazione civica nelle scuole sono viste come ore di pausa. Materie fragili e spesso marginali. Si studia diritto come insieme di norme, non come linguaggio della convivenza.
Le leggi vengono spesso usate a fini propagandistici. La funzione educativa si perde dietro il “diritto penale simbolico” o la retorica dell’emergenza. Leggi poi smantellate puntualmente dai Giudici “brutti e cattivi” e le motivazioni delle sentenze vengono ridotte a tre parole a portata di click. Politica e diritto spettacolo.
Perché oggi più che mai è importante recuperare questa funzione
Un diritto che educa non è meno giusto. È più giusto. Una società che comprende il senso delle leggi è più incline a rispettarle. Un cittadino formato è più difficile da manipolare. Un diritto che spiega, che parla, che coinvolge, crea legami sociali più forti.
La funzione pedagogica del diritto non è una debolezza buonista. È una necessità democratica. Se il diritto vuole restare giusto, deve anche saper essere maestro.
E forse, in questo tempo confuso, è proprio questa la lezione più urgente. ⌂