La prescrizione tra diritto e impunità: l’Italia sotto la lente della Corte di Strasburgo
Nel marzo del 2001, tra i vicoli antichi di Napoli, si tenne il Global Forum on Reinventing Government. Ma mentre l’agenda del Forum parlava di trasparenza e buona amministrazione, in una caserma della Polizia accadeva ben altro. Andrea Cioffi, praticante avvocato, veniva prelevato dal pronto soccorso e condotto al commissariato Virgilio Raniero. Lì, secondo quanto poi stabilito anche dai tribunali italiani, fu colpito ripetutamente mentre era in ginocchio, insultato, minacciato, privato dei suoi diritti fondamentali. A distanza di oltre vent’anni, il 6 giugno 2024, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha sancito la responsabilità dell’Italia: è stata violata la Convenzione, e in particolare l’articolo 3 (proibizione della tortura e dei trattamenti inumani o degradanti).
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Una violazione doppia: i fatti e la prescrizione
Nel caso Cioffi c. Italia (ricorso n. 17710/15), la Corte ha ravvisato una doppia violazione dell’articolo 3: da un lato per i maltrattamenti subiti dal ricorrente, dall’altro per l’inefficacia dell’inchiesta giudiziaria. L’elemento chiave? La prescrizione. Ben 31 agenti furono inizialmente rinviati a giudizio, ma la gran parte dei procedimenti penali si è conclusa senza sentenza definitiva a causa del decorso dei termini di prescrizione, ai sensi degli articoli 157 e seguenti del codice penale italiano.
Il Tribunale di Napoli, nelle sue sentenze, aveva accertato in maniera chiara che Cioffi e gli altri fermati erano stati sottoposti a “gravissime condotte”: botte, insulti, privazioni, umiliazioni. Nonostante ciò, solo tre agenti rinunciarono formalmente alla prescrizione e subirono un processo fino in fondo. Per tutti gli altri, è intervenuta la classica conclusione all’italiana: il tempo ha cancellato il reato.
La CEDU e la lunga storia delle condanne all’Italia
Non è la prima volta che Strasburgo bacchetta l’Italia per il suo uso della prescrizione come scudo all’impunità. Già nel 2015, nel celebre caso Cestaro c. Italia (n. 6884/11), la Corte aveva riconosciuto che le violenze avvenute alla scuola Diaz durante il G8 di Genova costituivano atti di tortura, e aveva denunciato il fatto che nessuno fosse stato punito adeguatamente a causa della prescrizione. In quella sentenza, la Corte aveva espressamente invitato l’Italia a riformare la propria legislazione per: introdurre un reato di tortura (poi introdotto nel 2017, art. 613-bis c.p.); impedire l’uso della prescrizione nei casi di tortura o trattamenti inumani.
Nel 2016, nel caso Nasr e Ghali c. Italia, relativo al rapimento dell’imam Abu Omar da parte della CIA con la collaborazione dei servizi italiani, la Corte ha nuovamente sanzionato l’Italia: anche qui, la prescrizione e il segreto di Stato avevano impedito la piena verità giudiziaria.
Nel 2021, il caso Bartesaghi Gallo e altri c. Italia ha rafforzato questa linea: lo Stato italiano è stato dichiarato responsabile di aver privato le vittime di un rimedio effettivo, ancora una volta a causa dell’inazione giudiziaria determinata dai tempi eccessivi e dai termini di decadenza.
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La prescrizione: uno strumento di garanzia… o di impunità?
In linea di principio, la prescrizione è un istituto di civiltà giuridica. Prevista dagli articoli 157-161 c.p., essa risponde all’esigenza di evitare che un soggetto possa restare perennemente esposto a un processo penale. Tuttavia, in presenza di gravi violazioni dei diritti umani, questo principio entra in rotta di collisione con l’obbligo positivo dello Stato di condurre indagini efficaci e punire i responsabili.
La CEDU ha chiarito, anche nei casi italiani, che nei crimini riconducibili a trattamenti contrari all’articolo 3, l’azione penale non deve essere soggetta a decadenza automatica: è necessario che lo Stato adotti misure effettive per garantire giustizia.
La prescrizione: tra oblio e certezza del diritto
Istituto secolare di matrice romana, la prescrizione rappresenta uno degli snodi più delicati del diritto penale contemporaneo. Secondo l’art. 157 c.p., il reato si estingue decorso un certo tempo, variabile in base alla pena edittale. L’idea di fondo è che il trascorrere del tempo, unito all’inattività dello Stato, riduce l’interesse punitivo e mina la funzione rieducativa della pena.
Sotto il profilo costituzionale, la prescrizione incarna un equilibrio tra diverse garanzie: la tutela dell’individuo da processi infiniti (artt. 24 e 111 Cost.), il principio di legalità (art. 25) e quello della funzione rieducativa della pena (art. 27). Tuttavia, la Corte EDU ha chiarito che nei casi in cui siano in gioco tortura, trattamenti inumani o violazioni sistemiche dei diritti fondamentali, questa garanzia non può trasformarsi in uno scudo per l’impunità.
In questo senso, la prescrizione diventa una linea di faglia tra due concezioni della giustizia: quella garantista, che tutela l’imputato dal rischio di processi eterni, e quella sostanzialista, che pretende che lo Stato assicuri effettività alla punizione dei crimini più odiosi. Non sorprende, dunque, che in più di un’occasione la Corte europea abbia indicato all’Italia la necessità di introdurre un regime speciale per i reati più gravi.
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Natura giuridica della prescrizione: concezione sostanziale e processuale a confronto
La dottrina penalistica è divisa sulla qualificazione giuridica della prescrizione: c’è chi la considera un istituto sostanziale, in quanto estingue il reato, e chi invece lo ritiene processuale, poiché interviene sull’azione penale.
Secondo la tesi sostanziale, sostenuta da una parte rilevante della dottrina classica (Fiandaca-Musco), la prescrizione è un limite al potere punitivo dello Stato e incide sul reato stesso, determinandone la sua estinzione. Tale lettura è coerente con l’art. 157 c.p., che parla esplicitamente di “estinzione del reato”.
Al contrario, la tesi processuale (Marinucci-Dolcini, Padovani) insiste sull’effetto preclusivo dell’azione penale, che viene meno per inattività dello Stato. In questa prospettiva, la prescrizione non cancella il reato in sé, ma impedisce che il giudice possa conoscerlo e sanzionarlo.
A livello costituzionale e convenzionale, questa ambiguità non è neutra: se si aderisce alla concezione processuale, è più facile ritenere compatibile la prescrizione con la possibilità di deroghe nei casi gravi (tortura, crimini di Stato), come sostenuto dalla CEDU.
La prescrizione come garanzia o come alibi: il dibattito dottrinale e istituzionale
Autori come Cordero e Ferrajoli hanno sottolineato che la prescrizione rappresenta un baluardo di garanzia per il cittadino, un limite alla pretesa punitiva perpetua dello Stato. Tuttavia, Ferrajoli stesso riconosce che nei casi di crimini statali o istituzionali la prescrizione può tradursi in una negazione della giustizia.
In questa linea si collocano anche i pareri del Consiglio Superiore della Magistratura, che in più occasioni ha segnalato la necessità di distinguere tra reati ordinari e reati di particolare gravità per i quali il decorso del tempo non può giustificare l’impunità. La Corte di Cassazione, con pronunce degli ultimi anni (Cass. pen. sez. V, n. 31003/2019), ha affermato che in materia di tortura e maltrattamenti deve prevalere l’obbligo di tutela effettiva delle vittime, anche a costo di mettere in discussione la disciplina ordinaria della prescrizione.
La dottrina penalistica contemporanea si interroga dunque su come conciliare la funzione di garanzia della prescrizione con l’effettività della tutela dei diritti fondamentali. La risposta non è semplice, ma sempre più si fa strada l’idea di una prescrizione selettiva, differenziata in base alla gravità e alla natura dei reati, per non tradire i principi costituzionali e convenzionali.
La riforma Cartabia e la nuova improcedibilità
Con la legge 27 settembre 2021, n. 134, la cosiddetta riforma Cartabia ha introdotto una novità: dopo la sentenza di primo grado, la prescrizione si “congela”. Ma se i successivi gradi di giudizio durano oltre certi limiti (due anni per l’appello, uno per la Cassazione), il processo viene dichiarato improcedibile. Formalmente non si tratta più di prescrizione, ma di un meccanismo simile nei suoi effetti: il procedimento penale si interrompe senza una decisione sul merito.
Non è detto che Strasburgo accetterà questa soluzione. Se anche l’improcedibilità dovesse portare all’impunità in casi gravi, la Corte potrebbe ravvisare una violazione sistemica del diritto alla giustizia.
la “improcedibilità” è una nuova forma di “fine processo senza sentenza definitiva”.
Per la CEDU, anche l’improcedibilità potrebbe configurare una violazione, se impedisce l’accertamento delle responsabilità in violazioni gravi, come tortura o maltrattamenti, ma non solo perché ottenere giustizia è un diritto.
Profili comparatistici e inviti internazionali
In altri ordinamenti europei, come in Francia e Germania, i reati più gravi contro la persona – come la tortura o i crimini contro l’umanità – non sono soggetti a prescrizione. La Corte EDU ha più volte raccomandato agli Stati membri di prevedere eccezioni alla prescrizione ordinaria per tutelare i diritti fondamentali.
In Italia, questa evoluzione stenta a imporsi in via legislativa. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, chiamato a vigilare sull’esecuzione delle sentenze della CEDU, ha invitato ripetutamente il nostro Paese a riformare la normativa per garantire l’effettività dell’azione penale in caso di trattamenti contrari all’art. 3 CEDU.
Un problema ancora aperto
Le sentenze Cioffi, Cestaro, Nasr, Bartesaghi raccontano una storia scomoda: in Italia, chi subisce tortura o trattamenti degradanti da parte dello Stato rischia di non ottenere giustizia. La prescrizione, nobile principio in astratto, si è spesso trasformata in un alibi per l’impunità.
La riforma Cartabia ha tentato, in un modo sbilenco come tutta la riforma, un bilanciamento, ma forse non basta. L’invito, più volte espresso dalla CEDU, è chiaro: servono norme speciali, capaci di garantire l’effettività dell’azione penale per i reati più gravi. In gioco non c’è solo la correttezza del processo penale, ma la credibilità stessa dello Stato di diritto.
Corte Europea dei Diritti dell’Uomo